LibertàEguale

Tesi 1 – I riformisti sono alternativi al populismo

Tesi n.1 – Riformisti versus nazional populisti, l‘alternativa come funzione fondamentale della democrazia liberale

 

Quella che stiamo vivendo è una “fase populista”.  Compito dei riformisti è di operare per impedire che questa fase si trasformi in una vera e propria “era populista”, capace di minacciare l’esistenza stessa della democrazia liberale (Yasha Mounk).

Anche a causa delle debolezze e dei ritardi delle forze politiche riformiste, nell’ultimo ventennio liberalismo e democrazia hanno teso a separarsi, cosicché da un lato i cittadini comuni si sono sentiti progressivamente espropriati dalle élite politiche, economiche e culturali del loro diritto di influenzare le politiche pubbliche; dall’altro le élite si sono chiuse in se stesse, incapaci di rimotivare la loro funzione dirigente attraverso il consenso che nasce dalla crescita economica equilibrata socialmente e dalla conseguente diffusione del benessere.

 

I movimenti populisti: non soluzioni ma caccia ai colpevoli

I movimenti populisti – certamente democratici quanto profondamente illiberali – hanno così avuto buon gioco nel tentativo di costruire una “democrazia illiberale su fondamenta nazionalistiche” (Orban).

Il loro messaggio è chiaro: i problemi irrisolti che vi angustiano – l’immigrazione, il terrorismo fondamentalista islamico, la disoccupazione tecnologica – sono semplici, non complessi. Quindi, se le élite non li risolvono, delle due l’una: o sono corrotte o sono parte di un complotto ordito dall’esterno contro il Paese e il suo popolo. Più probabilmente, sono entrambe le cose.

È dunque inutile, anzi, dannoso cercare le cause e arrovellarsi su difficili soluzioni dei problemi stessi. Basterà individuare i colpevoli. E sostituirli – nell’esercizio della direzione politica, che tornerà finalmente “potente” – con chi è espressione genuina del popolo vero.

Avvenuta questa sostituzione, ogni ostacolo di tipo istituzionale – autorità indipendenti, dal giudice delle leggi ai giudici ordinari, fino alle opposizioni parlamentari e alle autonome forze sociali – dovrà essere messo in condizione di non nuocere al pieno attuarsi della volontà del popolo vero, di cui i populisti assumono monopolistica rappresentanza.

Gli “altri” partiti politici, secondo questa strategia, non sono avversari, ma nemici. Come tali, non vanno semplicemente battuti, vanno distrutti. Prima di tutto, sul piano morale.

L’erosione delle fondamenta liberali della liberaldemocrazia ad opera dei nazionalpopulisti è dunque un processo lento e costante, che paradossalmente si alimenta delle stesse reazioni delle istituzioni liberali alle più aperte violazioni delle regole e delle norme liberaldemocratiche. Proprio queste reazioni “dell’establishment” costituiscono, agli occhi degli attivisti populisti, la conferma della loro “alterità”.

 

Il ruolo dei riformisti: innovazione e non ritorno allo status quo

Se questa è la natura dell’avversario che abbiamo di fronte in tutti i grandi Paesi occidentali, – e in particolare in Italia, dove l’affermazione dei nazionalpopulisti è stata più netta -, la funzione dei riformisti non può e non deve essere quella di chi tenta di “addomesticare” il populismo, tramite alleanza con tutto o parte di questo schieramento, ma quella di costruire una credibile alternativa di governo, capace di dimostrare e convincere che la democrazia liberale può tornare ad essere la forma di stato migliore per rispondere alle aspettative dei cittadini.

Non sarà un’impresa facile, né di breve momento: c’è da superare un senso di estraneità alle istituzioni liberaldemocratiche che si è molto radicato presso larghe fasce di cittadini. I riformisti devono essere consapevoli che non c’è un posto dove tornare per ricominciare a fare quello che hanno fatto, con tanto successo, in passato. Innovazione, e non ritorno allo status quo, dovrà essere la loro parola d’ordine.

Se gli obiettivi perseguiti nei “30 gloriosi” del Novecento – la riduzione della disuguaglianza in un contesto di crescita dell’economia di libero mercato – sono tuttora validi, le politiche in grado di conseguirli debbono cambiare radicalmente.

E non si deve cedere alla tentazione di pensare che presto le promesse dei nazionalpopulisti si riveleranno insostenibili, facendo crollare rapidamente il consenso popolare di cui godono.

Per quanto si possa sperare che questo sia l’esito della loro esperienza di governo, la ragione suggerisce la possibilità che l’affermarsi di un governo nazionalpopulista possa essere, per un lasso di tempo relativamente lungo, sorretto da una escalation di radicalizzazione, che lo metta al riparo dalla verifica della realtà delle cose.

Se è vero che la riscossa liberaldemocratica passa, in ogni nazione, dalla capacità di ridefinire – Paese per Paese – una nuova ed inclusiva interpretazione di interesse nazionale, dobbiamo tuttavia trarre conclusioni coerenti dalla constatazione che l’ascesa dei nazionalpopulisti è un fenomeno che abbraccia tutto l’Occidente: ci sono quindi delle cause comuni delle sconfitte subite ad opera del nazionalpopulismo, che devono essere individuate e rimosse attraverso una azione riformatrice europea e globale.

 

 

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