LibertàEguale

Come voterò domenica e perché

di Pietro Ichino

 

Mi chiedono: “Se tu non fossi legato al Pd dalla disciplina di voto, come voteresti?”. Rispondo: voterei Pd alla Camera e (soprattutto) al Senato. Perché il Pd è la garanzia più forte del ruolo di protagonista dell’Italia nel processo di integrazione UE e il partito più capace di contendere alla destra euroscettica decine di seggi uninominali decisivi


Lettera pervenuta il 12 settembre 2022 – Segue la mia risposta 

 

Professore buon giorno. Ho letto, o riletto, alcune sue interviste o articoli riportati nell’ultima sua newsletter. Come al solito ho apprezzato la linearità e concretezza delle sue tesi. Mi scuserà, tuttavia, se le pongo, io che sono ex-democristiano, ex-ulivista, ex insomma, ma da sempre nel centrosinistra, una domanda forse inopportuna: come fa a considerare ancora questo Pd come la sua casa? Non credo che lei intenda sposare la tesi del voto utile, la stessa cosa che ci hanno detto per decenni in prossimità di un’elezione. Sono stanco di tapparmi il naso e voterò convintamente il terzo polo, ma non posso negare che la sua posizione mi ha stupito e un po’ destabilizzato.
Cordiali saluti.
Giampiero Pino

Ringrazio il lettore di avermi offerto l’occasione per mettere nero su bianco, sia pure in modo necessariamente sintetico, le ragioni per cui – nonostante i dissensi e le critiche in materia di politica del lavoro – voterò convintamente per il Partito democratico sia alla Camera sia al Senato.
Quindici anni or sono ho partecipato alla fondazione di questo partito, al quale sono sempre rimasto iscritto da allora, salvo che nel biennio 2013-2014 nel quale mi candidai al Senato nelle liste di Scelta Civica e feci parte del relativo gruppo parlamentare fino al suo definitivo scioglimento, per poi tornare con tutti i senatori di quel gruppo nel Pd. L’appartenenza a un partito non presuppone la piena condivisione di tutte le prese di posizione del suo vertice; 
è una scelta che si fonda soprattutto sulla condivisione delle scelte politiche fondamentali, oltre che sulla fiducia nella capacità del partito stesso di correggere i propri errori in quelle meno cruciali. In questo partito mi è accaduto di far parte della maggioranza e di essere in pieno accordo con l’operato del vertice, di poter quindi cooperare efficacemente all’attuazione di idee e progetti da lungo tempo preparati e discussi; così come mi è accaduto di essere in minoranza e in dissenso con alcune scelte del vertice. In ogni caso ho sempre seguito questa regola di condotta: “massima libertà nell’esprimere le mie idee, anche se in contrasto con la linea del vertice del partito, massima lealtà nel rispettare la disciplina di voto, in Parlamento come nelle elezioni politiche e amministrative”. Quando si fa parte di un partito si entra in questa logica, che dà i suoi frutti sulla distanza; e che è incompatibile con quella del “ci resto finché sono in maggioranza, esco se sono in minoranza”.

Detto questo, non mi sottraggo alla domanda che da più parti mi viene posta: “va bene, ma se non fossi legato al Pd dalla disciplina di voto, nella situazione attuale come voteresti?”.
Rispondo: voterei allo stesso modo, cioè Pd sia alla Camera sia (soprattutto) al Senato. Perché con questo sistema elettorale un terzo dei seggi viene assegnato nei collegi uninominali, dove la coalizione di destra può vincere anche con il 25 o il 30 per cento dei voti. Anche nelle zone dove la coalizione di destra è più debole del centro-sinistra essa può portarsi via il seggio prendendo un voto in più della coalizione seconda arrivata. Per questo la rottura di Calenda con il Pd mi è parsa una follia.
Chi condivide le mie idee pensa che oggi lo spartiacque fondamentale della politica, in Italia come in tutti gli altri Paesi europei, sia quello che divide chi desidera che il proprio Paese partecipi da protagonista alla costruzione di una Unione Europea capace di esercitare efficacemente la sovranità in materia di economia, di sicurezza, di politica estera, di ecologia e di flussi migratori, da chi invece preferisce preservare e semmai rafforzare le sovranità nazionali del secolo passato. Oggi la scelta rispetto a questo spartiacque è resa più drammatica dall’aggressione della Russia di Putin contro l’Ucraina, che sottintende con tutta evidenza un’aggressione contro la UE cui l’Ucraina intende aderire. La coalizione di destra è in larga parte fortemente connotata nel senso dell’euro-scetticismo, se non addirittura nel senso del legame organico con il partito di Putin (come nel caso della Lega).  Non mi dispiace affatto che i voti degli elettori europeisti di destra rafforzino il nuovo Polo liberal-democratico di Calenda e Renzi; mi preoccupa molto, invece, che il nuovo Polo sottragga voti al Pd, consentendo ai partiti di Giorgia Meloni e di Matteo Salvini di prendersi tutta la posta nei collegi uninominali, anche in quelli nei quali un centro-sinistra unito sarebbe più forte.

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