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Declino Cgil, tra vecchia ideologia e populismo

Il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini (D) con la leader della Cgil Susanna Camusso al corteo di Milano, 14 novembre 2014. MATTEO BAZZI / ANSA

di Umberto Minopoli

 

Nella Cgil è in atto uno scontro tra due ipotesi di segretario. Tutto qui? Il più grande sindacato italiano si divide. Ma ai cittadini non è dato sapere il perché, se vi sono differenze di visione, di analisi della realtà, di obiettivi sindacali.

 

Centralismo e opacità

La Cgil sembra l’ultimo partito politico comunista: i congressi sono solo occasioni auto celebrative, con una finta unità di cartapesta, senza vero confronto politico, con un centralismo esasperato, reticente, che rimuove ogni differenza e riserva la lotta politica di merito, le differenze di strategia e tattica, allo scontro segreto, alle faide di corridoio.

Che poi, improvvisamente, si palesano con la guerra tra i leader per la successione al capo. Che avviene nella cupezza e non nella trasparenza di diversità di linee: cosa distingue i candidati alla successione Landini e Colla? Non si sa. Faida appunto, non confronto politico.

La Cgil avrebbe, da anni, dovuto celebrare un congresso trasparente, coraggioso, spietato, autocritico di cambiamento. E’ dal 1990 – trent’anni – che in Italia i partiti sono cambiati, hanno rivisto tutto, sono nate nuove formazioni: Pci, Dc, Psi e tutti gli altri sono solo ricordi storici. La Cgil, sindacato “politico” più di tutti – coevo a quell’Italia della Prima repubblic che è trapassata – non ha mai trovato il coraggio di un ripensamento e di un aggiornamento della propria identità.

Dopo la stagione “nobile” e straordinaria di Lama, Trentin e della grande Cgil riformista e nazionale di quei leader, la Cgil è piombata nella mediocrità faziosa, massimalista, antiriformista, retrograda e conservatrice di tutti i capi seguiti a Lama e Trentin.

 

Salari e distribuzione del reddito

Eppure i motivi di una svolta innovativa e riformista ci sarebbero. Che chiamano in causa l’efficacia, il senso, la natura dell’azione sindacale. Pensiamo solo ad uno che è la sostanza stessa della identità di un sindacato: la distribuzione del reddito. Da, credo, più di un decennio i salari sono fermi, stagnanti, in regresso. Questo incide sulla bassa crescita italiana, la debole domanda interna e la produttività stagnante del paese. La lotta per il salario non può più essere condotta, ovviamente, con i metodi rivendicativi degli anni 60/70: quelli del salario come variabile indipendente. Porterebbe solo alla rovina delle imprese e alla disfatta del sindacato.

Occorrerebbe un cambio di strategia: un patto tra imprese e lavoratori per migliorare la produttività delle imprese, accrescere la loro ricchezza e distribuire tale ricchezza tra salari e investimenti. Facendo crescere per tale via, finalmente, anche i salari. Questa via implica la decentralizzazione e contratti sempre più centrati sull’azienda e non sul contratto nazionale.

Lo si dice da tempo ma solo la Cisl, con limiti e lentezze, ha dato una risposta a questo problema. La Cgil è ferma sui suoi totem del passato. E in Italia i salari ristagnano e si deprimono.

 

Come cambia il mercato del lavoro

Stessa cosa per un altro totem Cgil: la natura del lavoro. Tutto è cambiato in questo campo. Creando la drammatica frattura che caratterizza la nostra economia in particolare: quella tra i giovani che non hanno vie d’accesso al lavoro e il recinto (in restringimento) della vecchia occupazione stabile.

Il mercato del lavoro andrebbe rivoluzionato per creare canali di ingresso ai giovani. La flessibilità è la chiave per rimuovere questa tragedia della disoccupazione giovanile. Eppure il pachiderma Cgil si è distinto per essere il soggetto di retroguardia impegnato, attivamente, nella guerra ad ogni innovazione riformista del mercato del lavoro: difesa dell’articolo 18, contrasto del jobs act, lotta ai voucher in ogni forma, ai contratti a termine, ad ogni forma di flessibilità di orari e tempi di lavoro.

E’ anche grazie a questa rigidità, ortodossia granitica, conservatorismo, ideologismo (il lavoro, per la Cgil resta solo quello stabile e continuativo) che siamo il paese che ha insieme: i salari più fermi, la produttività più bassa, la disoccupazione giovanile più alta, il rapporto tra giovani e lavoro più drammatico.

 

La simpatia per il populismo

Si è discusso di queste cose al congresso Cgil? Non lo sappiamo. E non pare così. Tranne un’innaturale simpatia della Cgil per il populismo e l’estremismo grillino e un’innaturale avversione e ostilità per i governi del pd e le loro realizzazioni e per i riformisti del Pd altro non si percepisce di ciò che agita e anima la Cgil. Tutto molto triste. A guardare da fuori la Cgil l’immagine è stagnazione, immobilismo, vecchiezza e declino. Come vorremmo che ci fosse qualcosa che smentisse questa sensazione.

 

 

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