LibertàEguale

JFK, 60 anni dopo

di Alberto Colombelli

 

“Sono nato in un paese chiamato Hope, quando mio padre era morto da tre mesi. Ricordo la vecchia casa a due piani in cui vivevo con i miei nonni. Il loro reddito era molto misero. Fu nel 1963 che mi recai a Washington e incontrai il Presidente Kennedy in occasione del Programma Nazionale dei Ragazzi. E mi ricordo che…be’…pensavo come era incredibile questo Paese, il fatto che qualcuno come me, insomma, uno che non aveva soldi né niente, potesse avere l’occasione di incontrare il Presidente. Allora decisi che davvero potevo dedicarmi al servizio pubblico, perché mi importava sul serio della gente.”.

Con queste parole nel 1992, esattamente 29 anni dopo rispetto al fatto raccontato, Bill Clinton iniziava il proprio messaggio elettorale in quella campagna che poi lo consacrò a sua volta Presidente degli Stati Uniti Uniti d’America.

E’ solo uno dei più evidenti esempi di quanto l’incontro, diretto o attraverso l’appassionato studio del profilo, con John Fitzgerald Kennedy sa ancora oggi generare nell’animo di chi è alla ricerca di una risposta ai mali del proprio tempo.

Nel ricordarlo oggi, il 22 novembre 1963, con il drammatico omicidio del Presidente John Fitzgerald Kennedy a Dallas, è stato uno di quei giorni che ha certamente cambiato il corso della Storia. Ha spezzato un sogno che tuttavia non può che restare vivo nel cuore di chi concretamente crede nella possibilità di poter contribuire con la propria azione ed il proprio impegno alla realizzazione di una società più giusta e più equa.

A distanza di sessant’anni da quel triste epilogo, liberatici dalla inevitabile mitizzazione della sua figura che ne ha determinato anche analisi superficiali legate ad aspetti estetici e di immagine del Presidente e della sua famiglia, quello che finalmente resta è l’eredità di una visione politica ancora oggi attuale che merita approfondimento ed attenzione per l’essenza del proprio messaggio e per l’illuminata ispirazione che ne può derivare per ciascuno di noi.

“Ma io credo che i tempi richiedano fantasia e coraggio e perseveranza. Sto chiedendo a ciascuno di voi di essere pioniere di questa “Nuova Frontiera”. Il mio invito è ai giovani di cuore, senza limiti di età.”

con queste parole alla Convention Nazionale Democratica del 15 luglio 1960, John Fitzgerald Kennedy esprimeva la sintesi della propria missione politica volta alla definitiva affermazione di una democrazia finalmente compiuta, quella in cui ognuno di noi, nessuno escluso, nel proprio ambito deve necessariamente attivamente partecipare.

La “Nuova Frontiera” non è solo la memorabile definizione con cui John F. Kennedy riuscì ad esprimere il senso della sua presidenza, ma è soprattutto la visione con cui si deve identificare quella sua proposta di cambiamento culturale, forte e credibile, che ancor oggi può e deve necessariamente essere riaffermato per la sua ineguagliabile attualità.

“Dunque, miei concittadini americani, non chiedete cosa il vostro Paese può fare per voi, chiedete cosa potete fare voi per il vostro Paese. Concittadini del mondo, non chiedete cosa l’America può fare per voi, ma cosa possiamo fare, insieme, per la libertà dell’uomo.”

afferma John F. Kennedy nel suo Discorso d’Insediamento alla Presidenza degli Stati Uniti d’America il 20 Gennaio 1961 e lo fa in un momento in cui l’America si trovava in un passaggio difficile della sua Storia, non tanto per i rischi di una perdita della supremazia strategica, in un mondo dominato dalla Guerra Fredda, quanto per una sorta di insicurezza, di calo di fiducia nel proprio potenziale e nei propri destini.

Una situazione che così descritta non può che trovare analogie ed essere riconosciuta anche in questa nostra Italia di oggi, come oggettivamente appare descritta nelle «Considerazioni generali» del 56° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese presentato nel dicembre 2022:

“Il nostro Paese, nonostante lo stratificarsi di crisi e difficoltà, non regredisce grazie allo sforzo individuale, ma non matura. Riceve e produce stimoli a lavorare, a mettersi sotto sforzo, a confrontarsi con le ferite della storia, ma non manifesta una sostanziale reazione: rinuncia alla pretesa di guardare in avanti. Vive in una sorta di latenza di risposta, in attesa che i segnali dei suoi sensori economici e sociali siano tradotti in uno schema di mappatura della realtà e dei bisogni, adattamento, funzionamento. La società italiana aspetta di divenire adulta, si affida alle rendite di posizione e di ricchezza, senza corse in avanti affronta i grandi eventi delle crisi globali con la sola soggettiva resistenza quotidiana. Ma un prolungamento della fase latente della vita sociale comporta il rischio di una sorta di masochistica rinuncia, senza forza e ambizione, a ogni tensione a trasformare l’assetto sistemico e civile della nostra società. Una sorta di acchiocciolamento nell’egoismo, di avvolgimento a spirale su se stessa della struttura sociale che attesta tutti a traguardi brevi.”

E la risposta di John Fitzgerald Kennedy a questo stato di fatto era, ed è, nell’esplicita richiesta a ciascuno di noi di prendersi sulle spalle il proprio destino in un’”era di responsabilità” richiamata anche da Barack Obama nel suo Discorso di Insediamento del 20 Gennaio 2009.

Nel messaggio di John Fitzgerald Kennedy c’era, e c’è, proprio il fondamentale concetto che “il cambiamento parte da ognuno di noi”, espressione di una visione fondata su coraggio, fiducia, bisogno di comune condivisione e partecipazione verso obiettivi che non rappresentano promesse ma nuove sfide da realizzare, insieme, quali il raggiungimento di un benessere più solido, più sostenibile e soprattutto più largamente distribuito, una più forte acquisizione dei diritti e delle libertà di tutti, un abbattimento delle barriere e delle discriminazioni razziali.

Era una missione che trovava la propria forza nell’estrema coerenza che veniva percepita tra l’ineguagliabile retorica politica dei discorsi e l’azione che ne conseguiva, con una credibilità che trovò ancora maggiore slancio pochi anni più tardi nel tentativo – purtroppo anch’esso tragicamente spezzato – del fratello Robert F. Kennedy, già Ministro della Giustizia dell’Amministrazione del Presidente Kennedy, con un impegno che nasceva dalla volontà – consapevolmente e dolorosamente maturata – proprio del sentirsi la responsabilità di dare seguito a quanto il fratello aveva iniziato.

“ C’è chi guarda alle cose come sono e si chiede: “Perché?”.

Io guardo a come potrebbero essere e mi chiedo: ”Perché no?” ”.

“ Sappiamo cosa dobbiamo fare. Dobbiamo ottenere una vera giustizia uguale per tutti. Dobbiamo ammettere la vanità e vacuità delle false distinzioni fra uomini e imparare a cercare il nostro miglioramento attraverso il miglioramento di tutti. “

diceva i quegli anni Robert F. Kennedy.

In un’epoca di generale smarrimento e di frustrazione, di crisi di fiducia e di delusione, di impotenza e di difesa, l’esigenza di poter ancora reagire in modo diverso appare sempre più necessaria ed evidente. Non perdiamo l’occasione di ricordare oggi quel modello ideale lasciatoci in eredità da un mondo che si era solo affacciato, che poteva essere ma che è stato drammaticamente spezzato.

E’ questa una nuova stagione delle scelte, da quel sogno spezzato possiamo ancora muoverci, insieme, verso il nostro futuro.

“Se ti senti in ansia per il presente o per il futuro, riflettere sul passato non è necessariamente un luogo in cui fuggire. Ma può essere un posto dove trovare speranza.” (Mo Rocca, JFK Forum, JFK Library, Boston, Massachusetts, 26 novembre 2019)

Alberto Colombelli,

autore de “LA STAGIONE DELLE SCELTE. UNA VISIONE PER IL NOSTRO FUTURO. Da un appassionato viaggio nell’America dei Kennedy a Barack Obama e ai temi del nostro tempo.”

(Sestante Edizioni, Luglio 2012)

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