LibertàEguale

L’interventismo democratico fallimentare. E quello buono

di Giovanni Cominelli

Biden ha difeso la sua vergognosa ritirata, affermando che la coalizione messa in  piedi dagli Usa e dalla Nato nel 2001 non era entrata in Afghanistan per fare “Institution building”, cioè per costruire uno Stato democratico all’occidentale, con la separazione dei poteri prevista da Montesquieu. Doveva semplicemente sconfiggere Al Qaeda ed è ciò che ha fatto. La missione è compiuta, si torna a casa. La risposta è formalmente ineccepibile, ma è politicamente disastrosa.
Per fare memoria ai lettori, il 7 ottobre 2001 gli Usa e la Nato  incominciarono ad operare in Afghanistan, in appoggio all’Alleanza del Nord, contro gli studenti (taleb) fondamentalisti, collegati ad Al Qaeda, che aveva perpetrato la strage dell’11 settembre 2001 delle Torri Gemelle. Il 9 settembre il Generale Massoud, comandante di questa Alleanza, era stata assassinato da Al Qaeda.  All’inizio gli USA e la NATO fornirono principalmente appoggio logistico e aereo. Poche truppe a terra. Il nome dell’operazione era OPEF, Operation Enduring Freedom, Operazione Libertà Duratura, autorizzata dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Lo schema originario era quello già sperimentato dagli americani in Vietnam a partire dal 1964. Lo scopo era distruggere le basi di Al Qaeda e catturare Osam Bin Laden, che aveva dichiarato una guerra terroristica all’intero Occidente. Il 20 marzo 2003 gli Usa, con l’appoggio inglese, invasero l’Iraq per abbattere Sadam Hussein, accusato di aver fatto uso di armi di distruzione di massa. Dopo la conquista di Bagdad, la gestione americana fu catastrofica. Come si vede, esiste un precedente e non è l’unico.  Gli americani sciolsero l’esercito irakeno di circa 1 milione di  uomini, con ciò creando le condizioni per la formazione dell’ISIS, che non era più soltanto un’entità sovrannazionale clandestina e terroristica di un’insorgenza terroristica, ma un vero e proprio Stato islamico, tra Iraq e Siria, che accese ogni focolaio possibile di terrorismo. L’Irak distrasse parecchio l’attenzione americana sull’Afghanistan.  Del resto, pare che il presidente Bush Jr. fosse convinto che l’Afghanistan si bagnasse nel Mar Nero o nel Mediterraneo. Intanto il 5 ottobre del 2006 il controllo dell’Afghanistan era passato ufficialmente passato da Enduring Freedom alla missione ISAF – International Security Assistance Force  – una missione NATO vera e propria, con le forze di molti Paesi coinvolte. Il 2 maggio 2011 le forze statunitensi condussero un’incursione ad Abbottabad, vicino a Islamabad, in Pakistan, uccidendo nel suo rifugio il leader di Al-Qaida, Osama Bin Laden.

Dopo 13 anni, il 28 Dicembre 2014, il presidente Barack Obama annunciò la fine dell’operazione Enduring Freedom, sostituita da Operation Freedom’s Sentinel, in sigla OPS, con l’idea di continuare a sostenere il governo afghano con un impiego minore di truppe, proprio mentre aumentavano le offensive talebane. Il resto è storia recente e nota. Gli accordi di Doha nel Qatar del 29 febbraio 2020 siglati tra il Presidente americano Donald Trump e l’Emirato islamico dei Talebani prevedevano il ritiro delle truppe americane dall’Afghanistan entro quattordici mesi. La presidenza Biden non ha modificato gli accordi. Pur avendo tutto questo tempo a disposizione, ha gestito in modo disastroso il ritiro, come si può vedere ogni sera sui canali televisivi di tutto il mondo. Gli errori di questa caotica e ingloriosa fuga li ha spiegato sul Corriere Ian Bremmer, politologo americano e fondatore di Eurasia Group, una società di ricerca e di consulenza sui rischi politici che ha sede a New York. Almeno quattro errori: militari e di intelligence, di coordinamento, di pianificazione, di comunicazione. Insomma: “le sentinelle della libertà” si sono addormentate.

L’intera faccenda ha sollevato una nube densa di interrogativi e riflessioni sulla politica estera degli Usa, su quella dell’Occidente in generale, sulle modifiche del quadro geopolitico mondiale, sulla crisi della leadership mondiale americana ecc… ecc…

Ma, al momento, al centro della nostra coscienza sta una sensazione di fondo: la vergogna per le promesse non mantenute e per una fuga disordinata e tragica, che sarà pagata con la distruzione dei primi nuclei di vita libera di uomini e donne afghani.

Subito sono comparsi i “pentiti”, tra cui Enrico Letta, che sono corsi a dichiarare, dopo aver sostenuto a suo tempo l’invio delle truppe Nato, che la “democrazia non si esporta”. Sono riemersi antichi anti-occidentalismi e sensi di colpa, fomentati dalla “cancel culture”, che fanno risalire il peccato occidentale alla scoperta dell’America, al capitalismo, al liberalismo, alle democrazie liberali. Che esaltano il multiculturalismo, inteso come neutralità rispetto ai valori, come relativismo assoluto – ossimoro palese!  – rispetto ai valori universali della persona, ai diritti umani. Che non sarebbero gli stessi sotto ogni cielo.
La tragedia culturale e politica dell’insensatezza della gestione politica dell’Amministrazione Biden consiste non tanto nello spostamento degli equilibri geopolitici a favore della Cina e nell’evidenziazione, semmai ce ne fosse bisogno, dell’impotenza dell’Europa come soggetto geopolitico sulla scena mondiale, quanto nel diffondersi di una sfiducia nei valori costitutivi della coscienza europea e occidentale, della coscienza cristiano-liberale. Nel nome della quale si sono compiuti infamie e delitti – lo ricordava una lucidissima madame Roland, la Musa dei Girondini, salendo sulla ghigliottina: “Ô liberté, que de crimes on commet en ton nom !” – , ma anche si sono combattute e vinte battaglie per la civilizzazione e guerre quali la Seconda guerra mondiale. “Il tramonto dell’Occidente” – il libro è del 1918-1923 –  annunciato con esagerato anticipo da O. Spengler rischia di essere una profezia che si autoavvera. La democrazia si difende, si sostiene, si accompagna, si custodisce con le armi? La risposta è sì, ogni volta che si renda necessario contro la violenza armata. Non si tratta di “esportare” istituzioni specifiche della storia europea, ma di aiutare le aspirazioni di ogni essere umano alle libertà fondamentali ad affermarsi sotto ogni cielo.
L’interventismo democratico è in realtà la foglia di fico che copre le vergogne di interessi imperialistici? La cinica affermazione di Biden che la presenza americana in Afghanistan non era più negli “interessi americani” sembra accreditare, ex-post, questa interpretazione.

E’ certamente accaduto anche questo nella storia europea e mondiale. Eppure, la pessima gestione dell’interventismo democratico non può far dimenticare l’interventismo buono, per es., appunto, quello americano stesso nella Seconda guerra mondiale, una fornace nella quale gli Usa per primi hanno gettato centinaia di migliaia di giovani vite americane.
Quanto al relativismo che sta insorgendo a sinistra (?), vale la pena di rifarsi al libro di Peter Hopkirk – Il Grande Gioco, 1990 –  nel quale si narra di un episodio avvenuto nel Punjab, all’epoca della colonizzazione britannica. Se non è vero, è certamente ben inventato. Una delegazione di anziani del villaggio si reca dal Colonnello inglese per lamentarsi del fatto che gli Inglesi occupanti non rispettano le antiche tradizioni del villaggio. Nello specifico, esse consistono nel bruciare le vedove sulla pira del marito appena morto. Il colonnello risponde: certamente, noi rispettiamo le vostre, ma voi dovete rispettare le nostre. Sarebbero? chiedono gli anziani. Noi, risponde il colonnello, abbiamo come tradizione quella di impiccare coloro che bruciano le vedove sulla pira del marito morto. E le antiche tradizioni finirono.

 

(Editoriale da santalessandro.org, sabato 21 agosto 2021)

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