LibertàEguale

Da Clint Eastwood alla Leopolda: costruiamo ponti

di Maria Antonietta Farina

 

Clint Eastwood, “I ponti di Madison County”, la Leopolda di Matteo Renzi, il Partito Radicale… il lettore forse sarà tentato di credere che con il pc ho fatto un po’ di confusione, ho mescolato testi e appunti come si fa con un mazzo di carte prima della partita. No e provo ora a spiegarmi.

 

Invitata alla Leopolda

Un sostenitore del Partito Democratico che conosco da un po’ di tempo mi “invita” a partecipare alla renziana Leopolda. Non come spettatrice, consiglia di intervenire. Sa del mio essere radicale; forse é per questo che mi “invita”.
Metto subito in chiaro che non sono interessata a un ruolo da cheerleader; il mio possibile intervento avrebbe seguito una traccia, un percorso più ampio di quelli previsti per la manifestazione…
Non saprei dire se sono stata fraintesa; o se – al contrario – sono stata benissimo capita: fatto é che non se ne parla più, la cosa cade.
Da qui una serie di riflessioni concatenate; potranno apparire bizarre, ma lo sono meno di quanto possono apparire. Riflessioni che mi riportano a un passato neppure troppo “passato”: quando con il Partito Democratico sono eletta alla Camera dei Deputati: una “delegazione” radicale di nove parlamentari. Varco la soglia di Montecitorio nel 2008: segretario del PD é Walter Veltroni; cinque anni dopo, conclusa la legislatura, il segretario é Pierluigi Bersani, per dire di quante cose cambiano in quegli anni.
La mia “scuola” politica è quella di Marco Pannella; di quel Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito che da statuto non si può presentare alle elezioni e di conseguenza, a tutti consente di potersi iscrivere (e tutti vuol dire davvero tutti). È la “scuola” che quest’anno ha scelto il “Passaporto della Libertà” come tessera di iscrizione; e nella “copertina” ha stampato il manifesto-appello dei Premi Nobel del 1981 contro lo sterminio per fame, sete e guerre nel mondo.

 

L’impegno tra Partito Democratico e Partito Radicale

Una “scuola” capace di sobbarcarsi lotte e battaglie spesso ancora impopolari: la dignità delle vite nelle prigioni italiane (i detenuti e l’intera comunità penitenziaria) e nelle REMS; i provvedimenti costituzionali (perché sono “scolpiti” in Costituzione) di amnistia e indulto; la riforma della Rai, la riforma della legge sulle interdittive antimafia e scioglimento dei comuni; la questione dei magistrati fuori ruolo; la regolamentazione del mercato della droga, in luogo dell’attuale proibizionismo, che “nutre” la criminalità organizzata e ogni tipo di corruzione…
Già era faticoso, duro, farlo con Marco Pannella vivo. Ora che non c’è più, é impresa ancora più “folle”; e infatti non manca giorno che qualcuno si senta in dovere di dirci che siamo presuntuosi, ci comportiamo da setta, una monade chiusa, un microcosmo di poche migliaia di persone. Già, per fine anno, anche per il 2018 uno degli obiettivi che ci siamo posti è di essere almeno in tremila… Ma cosa volete, cosa vi credete, datevi una calmata, ci esorta qualcuno che sostiene anche di provare simpatia per noi… Altri, più brutali: non esistete, siete nessuno.
No non è così…
Il Partito Radicale, la sua sopravvivenza, non sono un affare “privato”. Fosse così io per prima scrollerei le spalle, disinteressata.

 

Difendiamo la democrazia

Tutti e ciascuno devono seriamente interrogarsi su cosa possono, devono fare per restituire senso e dignità al concetto stesso di democrazia. Non mi riferisco tanto a questi giorni. La democrazia, i suoi fondamentali, da anni sono erosi, messi in discussione, minacciati, svuotati.
Una demolizione dello Stato di diritto (e del diritto a uno Stato) che viene da lontano. E noi da sempre siamo impegnati per il fondamentale diritto umano alla conoscenza, contro la “cultura” della paura, del sospetto; contro ogni discriminazione, oppressione e controllo sociale delle nostre vite…
Ecco: é il momento di usare la metafora del ponte e “scomodare” Clint Eastwood. È il 1995 quando dirige e interpreta con Meryl Streep “I ponti di Madison County”; film che – letteralmente – mi è rimasto nel cuore. É una storia di vita e d’amore lunga “solo” quattro giorni; in realtà va al di là di ogni tempo e spazio: un incontro inatteso, quello tra una donna, madre, moglie, e un fotografo; un incontro che sconvolge l’ordinarietà di due vite: la quotidianità e la “normalità” si riscrivono completamente e per sempre.
Un amico che ama il cinema, una volta, mi ha detto che “I ponti di Madison County” vanno intesi come uno dei tanti capitoli di un più Grande Film che vede Eastwood impegnato da anni. Un Grande Film che parla di persone “normali”, che a un dato momento devono fare i conti con situazioni straordinarie. Cosi ecco “Gran Torino”, “Mystic River”, “Million Dollar Baby”, “Hereafter”; fino agli ultimi: “American Sniper”, “Sully”, “Ore 15:17, attacco al treno”…

 

Costruire ponti tra le persone oltre le differenze

Un unico Grande Film che racconta storie che commuovono e indignano; dove i personaggi si trovano soli e contro tutti, davanti a bivi fondamentali: la scelta di quello che é giusto e quello che é sbagliato e da che parte schierarsi. Personaggi spesso con visioni amare della vita, disincantati, ma non cinici; che, soprattutto non accettano di essere umiliati e non vogliono umilare il loro prossimo; personaggi che dicono: ok, é faticoso, penoso, difficile; ma va fatto, é giusto farlo, dunque facciamolo. Questo, per il mio amico, é il Grande Romanzo Americano che Eastwood scrive, film dopo film. Magari ha ragione.
Torno a “I Ponti di Madison County”. Ha avuto un grande successo di pubblico; Eastwood è meravigliosamente malinconico; la Streep semplicemente formidabile; meritatamente il film è uno dei più amati; ma anche, forse, dei meno compresi.

 

Non dobbiamo consegnare il Pd alle logiche (s)partitocratiche 

I ponti sono metafora di tante cose. Il Golden Gate di San Francisco, per i suicidi. Il San Luis Rey di Thorton Wilder della inconoscibilità del destino e del mistero di una fede. I ponti distrutti di Srebrenica la shoah che ritorna. “Il Ponte sul fiume Kway” l’ottusità umana e il fanatismo. Il Ponte Morandi di Genova di come si possa convivere con qualcosa di assurdo… In generale i “ponti” sono opera di pace, servono per superare “muri”, confini; sono strette di mano per vincere pregiudizi; servono per contaminare, contaminarsi. Grazie ai “ponti” le differenze si possono superare, e di conseguenza le indifferenze e l’incuria nei confronti dei più deboli…
Le “differenze” si possono superare “semplicemente” anche tentando di non consegnare il Partito Democratico (o quello che ne è rimasto) a vecchie, mai sopite, logiche (s)partitocratiche; pensando a tutti i possibili protagonisti, per la ricostruzione autentica e veloce dell’unico “ponte” possibile: quello umano…
Questo avrei cercato di dire alla Leopolda. Sarà per un’altra volta…

 

 

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