LibertàEguale

Che autogol se il Pd cancella il riformismo

di Umberto Minopoli

 

Abbiamo un governo che ha invertito il ciclo economico: da positivo (quattro anni di governi Renzi) a negativo.

Abbiamo un governo che, per esclusive ragioni elettorali, ha imposto una manovra assistenziale, che sottrae risorse (col reddito di cittadinanza e pensioni) a un’economia che cala invece di fornirle.

Abbiamo un governo che consegue, automaticamente, un percorso di decrescita con il blocco delle grandi opere e dovendo finanziare (tagliando gli investimenti pubblici) spesa pubblica corrente taglia la spesa per investimenti.

Abbiamo un governo che deprime le aspettative di crescita di imprese e famiglie aumentando la tassazione invece di diminuirla. Specie sul lavoro.

Abbiamo un governo che ha cancellato le politiche attive ( job act) di inserimento dei giovani nel lavoro per sostituirle con cervellotiche, costose, inutili politiche assistenziali e promuovendo il lavoro nero.

 

E (allora) il PD?

In tutto questo il Pd fa un congresso che ha solo due propositi comprensibili, afferrabili, dichiarati:

– fare autocritica per l’azione dei governi della fase 2013/2017 (quelli degli ultimi segni più su tutti i fattori della condizione economica del paese a fronte dei segni meno del governo attuale);

– cambiare il Pd liquidando il riformismo e le politiche innovative, l’identità espansiva, ottimistica del Nuovo corso del Pd del 2013/2017.

Che manifestazione di nanismo politico e culturale! Per sostituire poi il riformismo con che cosa? Non si capisce.

Il congresso del Pd non contiene alcuna visibilità di idee e programmi, di obiettivi di riforme (come erano le primarie del passato). Le candidature alla segreteria hanno solo una caratterizzazione burocratica, interna. E in cui si dichiara un solo proposito: cancellare il riformismo e (peggio) restaurare il Pd del prima di Renzi. Un disegno deprimente e reazionario (nel senso etimologico del termine), passatista.

 

Giachetti – Ascani, un’alternativa al populismo

Mi preme dirlo: leggete, per curiosità, la mozione congressuale del duo Giachetti- Ascani.

È l’unica che, volendo motivare la continuità con il renzismo del 2013/2017, contiene dall’inizio alla fine un elenco delle riforme da riprendere e continuare, dei contenuti e dello spirito attivo e riformista dei governi Pd, contro la morta gora restauratrice, pessimista cupa e anticrescita, del governo populista.

Perché questa è la verità: di fronte alla prova di governo dei populisti, il programma del Pd degli anni di Renzi è una cosa da esaltare, riprendere e continuare. Altro che una cosa di cui scusarsi come dicono Zingaretti e Martina. Tra i quali, detto in parentesi, non si è percepita la differenza. Avendo scelto di fare un congresso di liquidazione dell’esperienza dei governi Pd e di liquidazione del riformismo e dell’innovazione del 2013, il Pd si è infilato in un tunnel di introversione e cupezza.

Senza alcun afflato programmatico e di proposta. Se non il ritorno del passato, del vecchio centrosinistra, con le sue vecchie idee e  con i suoi vecchi arroganti protagonisti: la sinistra sedicente e autoreferenziale. Questo Pd restaurato, ri-burocratizzato e deprivato dell’afflato riformista, specie se vince Zingaretti, significa un autogol clamoroso: si priva dell’eredità dei governi Pd e del riformismo della fase di Renzi, proprio nel momento in cui l’ignavia dei populisti e la natura distruttiva per l’economia e la crescita delle loro ricette fanno emergere il rimpianto e considerazione, nel confronto, di quello che il Paese ha perso, e dei rischi che corre, passando dal riformismo dei quattro anni di Renzi, alla restaurazione della fase populista. Se questo è il Pd che vince il congresso, l’alternativa al populismo si allontana.

Se passa Zingaretti sarà davvero un bel problema.

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