LibertàEguale

La controffensiva ucraina cambia tutto

di Eugenio Somaini

 

La controffensiva ucraina ha creato un quadro radicalmente nuovo che richiederà, praticamente da tutte le forze che sono coinvolte nel conflitto, una radicale ridefinizione tanto degli obiettivi che intendono perseguire come dei mezzi e dei modi per realizzarli, una ridefinizione che sarà graduale e per tentativi, ma probabilmente destinata a produrre effetti durevoli.

Nei paragrafi che seguono cercheremo di delinearne, senza pretese di completezza o di precisione, alcuni di quelli che riteniamo i loro tratti essenziali per le principali tra le parti interessate che di seguito elenchiamo: 1) l’insieme delle democrazie europee (e più in generale occidentali) e in particolare quelle che fanno parte della Nato; 2) la Russia; 3) la Cina; 4) i partiti italiani che, fra poco più di una settimana, si sottoporranno al giudizio degli elettori.

 

1) Mutamenti nei rapporti tra paesi già democratici e paesi in via di democratizzazione: il ruolo della Nato e della Commissione Europea

L’aggressione russa all’Ucraina ha radicalmente cambiato sia i rapporti tra i paesi occidentali e la Russia, sia quelli rapporti in seno al gruppo dei primi. La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha dichiarato esplicitamente che le sanzioni che sono stata progressivamente adottate saranno confermate, che il sostegno militare all’Ucraina continuerà anche in futuro e che l’obiettivo perseguito è il fallimento del disegno di Putin.

La dichiarazione è particolarmente significativa in quanto non riguarda solo gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, che forniscono una parte largamente prevalente del sostegno militare all’Ucraina ed hanno fatto chiaramente intendere di avere intenzione di prolungarlo e di aumentarlo, ma è condiviso da una larga maggioranza degli altri paesi e lascia intendere, seppure con prudenza, che l’obiettivo perseguito è una vittoria ucraina. Oltre ai due paesi citati sopra le forze trainanti in tal senso sono i paesi che si collocano sul versante orientale dell’alleanza, in particolare la Polonia (ma non l’Ungheria), e le nazioni baltiche che, per ovvie e concrete ragioni, hanno abbandonato la loro tradizionale neutralità. I paesi che hanno formato il nucleo storico dell’Unione Europea hanno posizioni decisamente più moderate, ma hanno anch’essi (soprattutto la Germania) accentuato (per ora solo in termini verbali) le loro critiche alla Russia, un mutamento del quale, come vedremo più avanti, la Cina non potrà non tenere conto.

Fino all’immediata vigilia dell’aggressione russa all’Ucraina tra i paesi europei era prevalente la convinzione che qualsiasi coinvolgimento della Nato nella questione ucraina fosse inopportuno, l’effettivo e massiccio verificarsi dell’aggressione ha cambiato radicalmente quel quadro. E’ troppo presto per dire quali saranno gli effetti di questa svolta, ma è comunque indubbio che le loro conseguenze per Putin saranno pesantemente negative, in quanto all’accesso alla Nato di due paesi come Svezia e Finlandia, che fino a pochi mesi fa erano fermamente contrari, potrebbe aggiungersi l’accesso (o quantomeno qualcosa di molto simile ad esso) dell’Ucraina stessa.

Ancor più sostanziali gli effetti materiali che l’aggressione ha prodotto e continuerà a produrre sullo svolgimento delle concrete operazioni militari. Il sostegno, in termini non solo materiali, ma anche di coinvolgimento operativo e strategico, è significativo, destinato a durare ed a diventare sistematico, nel caso specifico dell’Ucraina si sta addirittura configurando la possibilità di una sua quasi-adesione all’alleanza.

Riteniamo che i governi occidentali (e in particolare quelli dai paesi che aderiscono alla Nato) abbiano interesse a fornire a paesi che intraprendono processi di democratizzazione simili a quello avviato dall’Ucraina anche forme non militari, ma civili di sostegno, alternative a quelle rivelatesi fallimentari che vanno sotto il nome di ‘esportazione delle democrazia’ e che potremmo definire di ‘sostegno all’importazione della democrazia’ (di questo tema ci occuperemo più estesamente in un articolo che sarà pubblicato nel prossimo numero di Mondoperaio).

 

2) Reazioni russe alla serie di successi registrati dalla Russia in Ucraina

I risultati che l’Ucraina ha conseguito nelle ultime settimane hanno seriamente (e durevolmente) compromesso la considerazione ed il prestigio di cui la Russia godeva, non solo in occidente, ma nel mondo. Le immagini o le tracce della fuga delle truppe russe e le prove tangibili delle loro deficienze sono ormai di pubblico dominio a livello mondiale, lo stesso si può dire dei crimini e delle brutalità che le truppe russe hanno commesso.

Una parte, non si sa quanto grande, ma certamente significativa, dello stesso pubblico russo ne ha ormai preso coscienza e difficilmente se ne dimenticherà, la prova evidente delle reticenze passate servirà addirittura a prolungare e ad accentuare l’effetto di tale presa di coscienza anche (e soprattutto) se si ristabilisse la sistematica censura che è stata esercitata fin qui (la celebre frase “c’est pire qu’un crime, c’est une faute” – erroneamente attribita a Talleyrand, ma in realtà di A.C.J Boulay – è in questo caso del tutto pertinente).

A questo proposito possiamo distinguere tre tipi di reazione:

a) quella che possiamo definire dei continuisti, tra i quali spicca la figura di Medvedev, che hanno sempre considerato realistica, e quasi auspicabile, un’intensificazione dell’aggressione con il ricorso ad armi nucleari tattiche o alla guerra chimica;

b) quella degli ipernazionalisti, che hanno sempre ritenuto che l’Ucraina dovesse semplicemente cessare di esistere e che, a tal fine tutti i mezzi fossero leciti o addirittura opportuni, il sostegno di queste frange è certamente solido e significativo, ma le immagini che esse forniscono della Russia, delle sue motivazioni e della sua stessa natura, sono ormai diventate controproducenti e possono produrre (non solo alla lunga, ma fin da subito) effetti negativi direttamente proporzionali alla loro frequenza e alla loro intensità (le reazioni del tipo a) e b) sono di natura vendicativa, producono dolore e paura, ma difficilmente generano consenso o inducono coloro che ad esse sono sottoposti a cambiare idea);

c) la perdita del consenso esterno di coloro (individui o governi) che, pur senza approvare la condotta della Russia, si sono finora rifiutati di condannarla, è per lo più tacita e implicita, ma continuerà anch’essa a produrre effetti significativi e destinati a crescere col tempo. Il ministro degli esteri Lavrov ha fatto accenno alla possibilità di trattative, un’affermazione non particolarmente impegnativa (e che non ci sorprenderebbe se risultasse priva di seguito), ma che finora non era mai stata fatta e segna quindi una novità e comunque si differenzia da quanto hanno detto e vanno dicendo Medvedev ed il portavoce di Putin Peskov.

 

3) La posizione della Cina

Particolarmente significativa sarà la reazione della Cina, che pochi giorni prima dell’inizio della guerra, aveva firmato un lungo e pretenzioso documento, che pretendeva di essere di portata storica, ma il cui aspetto più concreto riguardava il comune impegno a una durevole solidarietà con la Russia e il proposito di fare una sorta di fronte comune contro i progetti di diffusione della democrazia coltivati dall’occidente (e in particolare dagli Stati Uniti) visti come espressione di un’aggressività imperialistica.

L’interpretazione che la Cina finora ha dato della portata di questo impegno è stata tutto sommato limitata, ne è prova il fatto che essa non ha finora fornito armi alla Russia, costringendo quest’ultima a rivolgersi a un paese come la Corea del Nord per ottenere armi che possano (???) fare da contrappeso a quelle che i paesi occidentali hanno dato (e stanno dando) all’Ucraina.

Nel corso degli incontri russo-cinesi che, nei giorni scorsi, si sono svolti in Kazakistan e a Samarcanda, tale atteggiamento è stato sostanzialmente confermato e la Cina si è limitata a dichiarare di condividere le preoccupazioni della Russia per la minacce alla sua sicurezza che verrebbero dalla presenza di paesi Nato sui suoi confini: una presa di posizione le cui implicazioni pratiche sono quantomeno assai vaghe (nel comunicato rilasciato a conclusione degli incontri russo-cinesi dei giorni scorsi non si fa menzione di possibili invii di armi alla Russia da parte della Cina).

Non siamo in grado di fare fondate congetture riguardo alla portata pratica di tali dichiarazioni, ma propendiamo per l’idea che la Cina intenda mantenere un approccio prudente, che è motivato anche dal fatto che la risposta cinese non sarebbe destinata solo gli Stati Uniti (che la Cina considera certamente come una seria minaccia, ma nei confronti dei quali osserva una sostanziale prudenza), ma anche ai paesi della Nato, che hanno fatto generosi invii di armi all’Ucraina e i rapporti dei quali con gli Usa la Cina non ha interesse a rinsaldare ulteriormente.

 

4) La questione Ucraina in Italia alla vigilia delle elezioni

Non è questa la sede per affrontare seriamente questo tema e ci limitiamo a segnalare che, da un lato, l’Italia è probabilmente tra i paesi nei quali le forme che possiamo definire di putinismo latente sono più diffuse (anche nella stampa e tra intellettuali, in particolare di sinistra) e che dall’altro le vicende recenti potrebbero avere indotto una parte di coloro che condividevano tali opinioni a cambiare idea, o forse solo ad esprimersi con maggiore prudenza o cautela, circostanza quest’ultima della quale ci si dovrebbe comunque rallegrare.

 

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