LibertàEguale

Dopo Draghi, il riformismo non potrà più accomodarsi nell’alleanza con i 5s

di Pasquale Pasquino

 

Il nascituro governo Draghi è chiamato ad evitare all’Italia le convulsioni che venivano da un mediocre esecutivo paralizzato dai contrasti fra il riformismo presente nel PD e il M5S ostile a misure necessarie da prendere nella gestione della politica economica, di quella giudiziaria e di quelle sulla riforma delle istituzioni. Il primo ministro di tutte le coalizioni possibili è rimasto in equilibrio fra questi contrasti e queste tensioni, come aveva fatto nella prima versione del suo governo fra Lega e 5S.

Ma come nell’estate del ’19 così nell’inverno del ’21 l’equilibrio dell’immobilismo si è rotto e questa volta per mancanza di numeri in Parlamento – nonostante il vano sforzo per cercarli – e l’avvocato, di se stesso a Palazzo Chigi, ha perso la sua causa. E l’ha persa nonostante la volontà dei suoi sodali di mantenerlo in vita. Da parte dei 5S si capisce. Conte era stato una loro trovata dopo le elezioni del 2018, che avevano spaccato politicamente il paese e il Parlamento in patres tres. La stessa volontà da parte del PD, molto meno.

La conversione a Draghi del movimento creato da Grillo, nonostante mal di pancia, si capisce anch’essa. Per la vasta maggioranza dei suoi eletti la scelta era fra Draghi o morte dal punto di vista politico. Ma che la direzione del Partito potesse nel giro di poche ore passare da “Conte o niente” – anche dinanzi alla evidente impossibilità di trovare una maggioranza parlamentare a suo favore – a “evviva Draghi” fa sorgere qualche preoccupante dubbio sull’affidabilità di tale direzione. Dobbiamo pensare che come i 5S il PD è disposto proprio a tutto?

Si capisce benissimo che, dopo la caduta del Conte 1, per evitare di consegnare il paese ad una destra apertamente sovranista, la quale avrebbe portato il nostro paese in rotta di collisione con l’UE e dunque verso una deriva di bancarotta – nonostante le scempiaggini economiche propagandate dai BB (Bagnai e Borghi) e ripetute dal Salvini che mangiava spread a colazione –, era, dicevo, ragionevole seguire la proposta di Renzi e allearsi nel breve periodo con il Movimento di Grillo. Con la ragionevole speranza di allontanarlo almeno in parte da posizioni economicamente disastrose per il paese.

Il governo che sta per nascere anch’esso deve molto al corsaro Renzi e naturalmente al tempo stesso al correttivo presidenziale del nostro parlamentarismo che ha permesso a Sergio Mattarella di portare la politica del paese verso mari meno agitati e pericolosi.

Bisogna peraltro riflettere sul possibile assetto del sistema politico una volta che sarà giunta al termine la fase di risanamento economico avviata da Draghi e la sospensione relativa del battibecco partigiano fra partiti. Dunque, alla scadenza delle prossime elezioni.

Il riformismo non può accomodarsi in silenzio ad una rinnovata alleanza PD 5Stelle magari sotto la non brillante leadership di Giuseppe Conte, invocata da Zingaretti e dal suo consigliere politico. In realtà il più preoccupante membro della coppia giallorossa più che il Movimento sembra proprio il PD.

Il grillismo si è sfaldato, il Movimento dell’antisistema è diventato governativo whatever it takes, anche a costo di una congrua riduzione della sua rappresentanza! In parte sarà pesantemente ridimensionato in virtù della riforma costituzionale, da loro stessi imposta, circa il numero degli eletti in Parlamento, in piccola o piccolissima parte rifluirà verso i lidi dove lo aspetta Di Battista, in parte, infine, potrebbe integrarsi dentro la sinistra moderata (dipenderà in larga misura dalla legge elettorale).

Il PD deve invece fare una scelta fra una vecchia cultura di sinistra fondata su concezioni ormai fuori contatto sia con la realtà di un mondo globalizzato che con il comportamento del corpo elettorale e, invece, posizioni più coraggiose che tengano conto, al di là degli slogan europeisti che ormai tutti ripetono, dello sforzo necessario che deve fare il paese per quanto riguarda l’economia e le istituzioni, ritornando sul programma di riforme che tanto la destra che una parte della sinistra (politici ed intellettuali inclusi) avevano con successo osteggiato nel 2016.

Il PD non può galleggiare nell’attesa di tempi migliori. Se non vuole scomparire come il Partito Socialista francese, deve affrontare con un vero congresso i problemi della sua identità e delle sue alleanze, presto, perché non ci saranno dopo dal punto di vista politico tempi migliori.

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