LibertàEguale

Crisi di governo: si va verso un cambio di regime?

di Giovanni Cominelli

 

La formazione del governo giallo-verde il 1° giugno 2018 ha costituito l’avvio di una transizione dal regime democratico-liberale uscito dal secondo dopo-guerra verso un regime democratico-illiberale. Questa transizione si è momentaneamente interrotta in questo giorni, ma, almeno nelle intenzioni di Salvini, si deve accelerare. Candidandosi a premier e chiedendo nuove elezioni, nel comizio di Pescara ha gridato dal palco: “Chiediamo agli Italiani la forza di prendere in mano questo Paese”. Non poteva essere più chiaro.

 

Le tre discontinuità rispetto al passato

La soluzione di continuità rispetto al regime della Prima repubblica – le repubbliche successive sono solo invenzioni degli opinionisti politici – si è manifestata in questi anni, a partire dal 2013, in tre punti-chiave: l’assetto delle istituzioni, la collocazione internazionale, il rapporto politica-società.

 

1- L’assetto istituzionale

Sull’assetto istituzionale della democrazia italiana, l’approccio del M5S e la Lega è stato diverso, ma convergente.

Per il M5S si trattava di sostituire le istituzioni della democrazia rappresentativa con quelle della democrazia diretta: un sistema dove la Volontà generale – il Popolo – fonde in sé i tre poteri, che Montesquieu aveva teoricamente separato. Di qui, la riduzione del Parlamento a semplice camera di decompressione delle tensioni interne al governo, di qui la proposta di riduzione del numero dei parlamentari, di qui il privilegio fornito alle minoranze referendarie, trasformate automaticamente in maggioranze decidenti per il solo fatto di essere referendarie, di qui il giustizialismo.

Salvini, provenendo da un partito presente in tutti i gangli istituzionali e amministrativi del Paese, non ha mai avuto alle spalle un’elaborazione alla Casaleggio, non ha mai teorizzato il superamento delle istituzioni della democrazia liberale. Ha semmai tentato di praticare, nel suo piccolo, quel tipo di democrazia che Orban ha chiamato “democrazia illiberale” e Putin “democrazia sovrana”. Certo con differenze: Putin fa arrestare i manifestanti dell’opposizione a centinaia, Salvini si è limitato, fino ad ora,a insultare i contestatori, i rari giornalisti critici, i magistrati che emettono sentenze sgradite, qualche manifestante isolato, la Carola Rackete… D’altronde, Putin viene dalla scuola del KGB, Salvini da quella del Leoncavallo. Non ha mai teorizzato, ma ha praticato una politica di prepotenza istituzionale, volta a mettere nell’angolo l’istituzione-Parlamento e l’istituzione-Governo, a piegare la Magistratura, invocandone sentenze secondo i propri desiderata, a sostituirsi ad altri Ministeri, dalla Difesa, ai Trasporti, al Lavoro, all’Economia. Il top è stato raggiunto in questi giorni. Il vice-premier apre la crisi di governo, evoca lo scioglimento delle Camere, pretende di convocare il Parlamento per discutere la sua mozione di sfiducia – rivolgendosi a parlamentari con l’appello ad “alzare il culo” – e chiede i pieni poteri…, quasi fosse insieme il Presidente del Consiglio e il Presidente della repubblica. Pulsioni totalitarie di reductio ad unum, mai teorizzate, ma decisamente praticate e annunciate per il futuro.

 

2- La collocazione internazionale

Il secondo punto di rottura è stato quello della collocazione internazionale dell’Italia. Occidente euro-atlantico, Unione europea, Nato sono stati fino al 2018 il contesto e il guscio di protezione di una Paese storicamente debole nel contesto internazionale. I tentativi di cambiamento della collocazione internazionale sono la conseguenza diretta sia dell’attacco alle élites sia della teoria e della pratica della democrazia illiberale. Il sovranismo isolazionista ne è stata la risultante.
Anche su questo terreno strategico si sono manifestati approcci diversi.

Il M5S ha variamente oscillato tra putinismo, madurismo, lepenismo, faragismo, giallismo – quello dei gilet gialli! – antieuropeismo. Solo dopo le elezioni europee, è esplosa una divergenza con la Lega, relativamente all’elezione della Presidente della Commissione europea Ursula von der Layen. Il M5S a favore, la Lega contro. La quale è stata, ai tempi di Bossi, filoserba e al tempo di Salvini, diventato segretario della Lega nel dicembre 2013, pienamente filorussa. Questa sindrome è già stata illustrata nell’articolo della settimana scorsa. Ma, poi, Salvini è corso anche da Trump, dopo il 2016, ma ha anche accettato senza batter ciglio la firma di Conte sotto il trattato commerciale con la Cina. Inutile qui ricordare le posizioni sull’Euro e sull’Europa nonché le conseguenti alleanze con Marine Le Pen, con Orban e affini. Il risultato è un Paese free floating nell’arena internazionale come un pallone aerostatico, che ha perso gli agganci.

 

3- I rapporti tra politica e società

Il terzo punto di rottura riguarda la teoria e la pratica dei rapporti tra politica e società. Grazie all’Algoritmo pentastellato, che raccoglie in tempo reale le istanze dei singoli, le calcola, le combina e sputa fuori la soluzione immediata, la politica come elaborazione, sapere competente, delega e rappresentanza perde senso. Scompare il dibattito pubblico, che va a nascondersi nei chip. Resta quello sui social. Da una parte i singoli, giacché la società scompare, dall’altra i computer di Casaleggio. E intanto, nella transizione dalla democrazia classica a quella diretta, che cosa succede? La stessa cosa che è accaduta nel passaggio dalla democrazia borghese e il comunismo, secondo il leninismo-stalinismo: la dittatura del partito unico, diretta dal “capo politico” unico. Per ora, solo interna al M5S.

Quanto a Salvini, è piuttosto sul terreno del linguaggio che ha manifestato la sua cultura neo-totalitaria del rapporto politica-società. Ha ufficializzato – oggi si dice “sdoganato” – uno stile che da tempo già si pratica nei mass-media e nei social-media: quello dell’insulto diretto, dell’odio e della sfida personale, della minaccia, della volgarità. Ma è soprattutto nell’uso politico e nell’esposizione pubblica del proprio corpo che Salvini riprende antichi moduli populistici, già praticati da Mussolini, di volta in volta travestito da aviatore, da aratore, da mietitore… Nulla di più lontano dall’uso politico che ha fatto Marco Pannella del suo corpo digiunante e dolorante per difendere i principi della democrazia liberale. Dai selfie a letto con la Isoardi, alle pose gladiatorie da bullo da spiaggia, all’uso delle divise di Polizia, al bacio comiziale della corona del rosario, Salvini ha seguito una consapevole strategia di rottura delle pareti che devono separare il linguaggio delle relazioni private da quello delle relazioni sociali, da quello delle istituzioni. Quando la separazione dei contesti e dei poteri, che si incarna e si esprime nei linguaggi, viene bucata, la neo-lingua totalitaria populista prende il sopravvento. I cittadini hanno l’illusione del superamento della separatezza tra società e politica.

Itinerari diversi quelli del M5S e della Lega, ma convergenti sulla strada di un nuovo regime. Che non sarà fondato sul valore assoluto della persona umana, sui diritti fondamentali, sull’Habeas corpus, sulla separazione dei poteri.

 

Le sfide delle prossime elezioni. Non sta arrivando il fascismo, ma…

Dunque, le sfide delle prossime elezioni sono due, sono incatenate l’una con l’altra:

1. il passaggio dal regime democratico-liberale del dopoguerra ad una “democrazia sovrana” o “illiberale”, con tendenze neo-totalitarie esplicite e confessate.

2. il passaggio da una collocazione euro-atlantica del dopoguerra all’isolazionismo sovranista ed ad alleanze instabili e contingenti.

Il Paese ne è consapevole? Certamente la minoranza di cittadini e di elettori – al momento circa 13 milioni – che ha votato o si dispone a votare Lega desidera esattamente questo. Non c’è qui lo spazio per rispondere alla domanda del politologo Marc Lazar sul perché gli Italiani abbiano di tanto in tanto il bisogno di un “Uomo della provvidenza”. Ci si deve interrogare sul silenzio degli astenuti, sulle complicità di sedicenti “liberali” alla Berlusconi, su quanti pensano di “romanizzare i barbari”, sugli opinionisti che hanno sparato a zero su Renzi “uomo solo al comando” ed ora stanno adagiati in un silenzio vile.

E i partiti? L’unico partito di opposizione – il PD – pare non rendersi conto della sfida. Denunciare ogni sera in TV il fatto che i Due litigano su tutto non bastava prima, non basta di qui in avanti. Opporre i dogmi obsoleti di una sinistra socialdemocratica, welfarista e assistenzialista – che il M5S ha peraltro meglio interpretato – non basterà.

Sta tornando il tempo dell’”Appello ai Liberi e forti” del lontano 18 gennaio 1919. Sta arrivando il fascismo? Non credo. Ma certamente stiamo tornando a prima del 2 giugno 1946. Allora la domanda era: Monarchia o Repubblica. Oggi, democrazia liberale o democrazia illiberale? Euro-atlantismo o Euro-asiatismo o Euro-sinismo?

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