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Banche: la necessità di responsabilità sociale e biodiversità

Giuseppe De Lucia Lumeno giovedì 13 Aprile 2017
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Un euro ogni quattro, guadagnato dalle prime 20 banche d’affari europee nel 2015, finisce in un paese a tassazione privilegiata o a zero tasse, i cosiddetti paradisi fiscali. E così utili per 25 miliardi di euro non sono tassati.

Il guadagno dichiarato nei paesi con una tassazione privilegiata si aggira attorno al 26% dell’utile totale delle filiali di queste grandi venti banche che hanno dichiarato, sempre nel 2015, quasi cinque milioni di utili in Lussemburgo, più di quanto non facciano in Germania, Gran Bretagna e Svezia insieme.

E’ questo il risultato da una ricerca condotta dall’Oxfam Fair Finance, un’organizzazione internazionale attiva nello studio di una gestione più etica della finanza mondiale. La ricerca, resa pubblica qualche giorno fa nel silenzio quasi totale dei mezzi di informazione, è stata resa possibile grazie ad una direttiva del 2015 dell’Unione europea che obbliga le banche europee, e solo le banche – per le altre società non esiste alcun obbligo del genere – a pubblicare tutte le operazioni effettuate ogni anno compresi utili prodotti e tasse pagate paese per paese. Tutto lecito, tutto legittimo, naturalmente.

Ma, dopo quasi dieci anni di crisi economica e di dure politiche fiscali restrittive imposte dall’Europa ai singoli Stati, di tagli alla spesa pubblica, di strette che riducono fortemente redditi disponibili e capacità di spesa, di autorevoli inviti a “sacrifici” necessari a raggiungere il mito del pareggio di bilancio – che in Italia è stato anche introdotto in Costituzione – forse, queste legittime pratiche non troverebbero, qualora fossero adeguatamente pubblicizzate, grande gradimento nell’opinione pubblica e di certo non dovrebbero trovarlo tra le autorità istituzionali e politiche di Bruxelles. Di certo non aiutano ad uscire dalla crisi economica.

Torna, dunque, di estrema attualità il tema della biodiversità del sistema bancario. La crisi che ha colpito l’economia occidentale sta producendo delle radicali trasformazioni sia al sistema economico – e con esso a quello bancario – sia alle radicate convinzioni precedenti la crisi stessa di economisti e governanti. Poco più di un decennio fa, l’idea della grande banca, quella banca che è universale perchè fa tutto – sia attività tradizionale di raccolta e prestito (retail), sia attività finanziaria e di affari (investment banking) – era considerata il modello vincente e la sola possibile per il futuro, alla quale ogni istituto di credito avrebbe dovuto omologarsi per poter continuare ad esistere.

Oggi, per molte ragioni la crisi ha fatto emergere, al contrario, quanto sia estremamente debole quel sistema che prova a compensare l’inefficienza derivante dall’attività svolta in un determinato campo con quella esercitata nell’altro, conducendo nella problematicità sia l’uno che l’altro in una spirale negativa. Ma non basta. A questi motivi, grazie agli esiti dello studio dall’Oxfam Fair Finance, si aggiunge ora il problema, non minore, del disinteresse dei grandi players finanziari, spesso multinazionali, al tema della responsabilità sociale d’impresa. Una sensibilità che non può appartenere, per natura, a queste banche che si muovono su interessi e spinte completamente diversi.

In una situazione economica a dir poco delicata, per questo, la presenza della positiva “diversità” degli istituti creditizi della Cooperazione Bancaria risulta quanto mai insostituibile. Le Banche Popolari continuano ad essere un punto di riferimento per i territori, un elemento di fiducia per le imprese, soprattutto quelle piccole e medie, e per le famiglie con risultati, malgrado le difficoltà economiche, politiche e regolamentari, ancora positivi. Tutto questo è possibile grazie ai circuiti virtuosi di relazioni tra imprese e tra imprese e banche del territorio. Lo sviluppo delle economie locali, la promozione dell’inclusione sociale, il coinvolgimento di soci e di clienti, sono le caratteristiche di cui è connotata quella diversità del Credito Popolare che, andando oltre i soli indicatori economici, rende evidente un valore aggiunto che tale sistema fornisce.

E’, dunque, urgente e necessario, alla luce dell’esperienza, fare un bilancio e interrogarsi sui diversi sistemi di intermediazione bancaria. Una discussione che non sia astratta e basata su un modello teorico ma sull’applicazione di un modello reale e che tenga conto delle diverse scelte fatte in questo decennio e dei risultati che tali scelte hanno prodotto sull’economia reale. “Pensare anzitutto alla clientela retail” lo chiedeva, a fine 2008, la Commissione europea. Quella richiesta è più che mai attuale e da essa sarebbe necessario prendere l’avvio per delineare un nuovo sistema di sviluppo che rilanci economia reale e occupazione e per il quale la biodiversità del sistema bancario continua ad essere una condizione necessaria.

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