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Gli arroganti esegeti delle maggioranze silenziose

alberto-bitonti lunedì 1 Giugno 2015
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152In queste ore di maratone elettorali e di dibattiti post-elettorali, l’Italia riscopre la sua vera identità: il nostro paese, infatti, appare la più grande fucina accademica di scienziati politici e di analisti di flussi elettorali che si ricordi dai tempi della scuola di Chicago. Forse messa in ombra solo dalle altre tre grandi scuole di elaborazione filosofica e scientifica che, attraverso innumerevoli scuole dottorali e filoni di pubblicazioni, danno lustro alla nostra penisola, cioè quella dei costituzionalisti, dei giuslavoristi e dei commissari tecnici di calcio.
In questo bailamme di elucubrazioni e di approfondite interpretazioni, a partire dai numeri delle sette regioni andate al voto ieri, sui destini del governo Renzi, sul sistema politico italiano, laddove non sul socialismo mondiale e sugli equilibri di potere in Europa (!), mi piacerebbe che qualche eretico osservatore anche poco titolato lanciasse due provocazioni.
La prima è che appare piuttosto curioso che tutti coloro che NON partecipano al voto sembrano pensarla esattamente come chi, in questo momento, sta commentando dal vostro televisore i risultati elettorali.
È piuttosto curioso che questi esegeti di presunte maggioranze silenziose si arroghino il diritto di interpretare e di assoldare il più o meno forte “partito dell’astensione” sotto la propria bandiera. È curioso che solitamente nessuno faccia loro notare che: 1. quelli che fanno la scelta di non votare non sono un gruppo coeso od omogeneo, ed è piuttosto difficile pesare le innumerevoli motivazioni alla base dell’astensione (scientificamente parlando); 2. chi sceglie di non pronunciarsi alle elezioni fa una libera scelta, sapendo di rinunciare a una possibilità di partecipazione e di espressione democratica, peregrino quindi che si vogliano attribuire proprio a questa parte della popolazione una profondità di pensiero politico e uno spessore strategico fondamentale per i destini del Paese; 3. in generale un certo livello di astensione è assolutamente fisiologico nei regimi democratici (vi siete mai chiesti da dove derivi l’espressione “maggioranze bulgare”?), tanto che la partecipazione elettorale nella maggior parte dei paesi occidentali è in calo continuo almeno dalla fine degli anni Sessanta (voce Wikipedia su astensione elettorale in Italia) – Obama è stato eletto dal 57.1% degli elettori nel 2008 e riconfermato dal 54.9% nel 2012, per dire – anche laddove si vogliano paragonare (e non si potrebbe) elezioni politiche ed elezioni locali (caratterizzate da fattori indubbiamente diversi e da una partecipazione tradizionalmente più bassa); 4. lo stesso esercizio del voto sta cambiando con il cambiare delle generazioni, un tempo preziosissimo diritto-dovere, ora sempre più diritto e meno dovere, per ragioni storico-culturali che evidentemente non hanno nulla a che fare né con le politiche del governo né con questa singola tornata di elezioni regionali; un fenomeno sul quale appare pure opportuno interrogarsi, ma senza strumentalizzazioni legate alla contingenza.
La seconda provocazione è che le elezioni servano a eleggere Presidenti e Consigli regionali. In questo quadro, chi è del PD potrà rallegrarsi del fatto che in cinque delle sette regioni andate al voto il proprio partito abbia vinto e possa esprimere i prossimi Governatori. Davanti a questo dato “istituzionale” le interpretazioni che profetizzano la fine del PD appaiono anch’esse piuttosto curiose (ferma restando la necessità di continuare a ragionare su capacità “matematica” di unità elettorale e su qualità politica delle candidature).
Come detto si tratta di due semplici provocazioni, beninteso; nulla di cui cotanti scienziati debbano preoccuparsi nelle loro spiegazioni sul vero significato di queste elezioni.

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