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La Tunisia dalla dittatura al Nobel

Pasquale Mazzarelli venerdì 16 Ottobre 2015
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nobelIl premio Nobel per la Pace del 2015 al “quartetto” per il dialogo nazionale tunisino è un premio Nobel ad un intero Paese. Un Paese che, dopo la rivoluzione dei gelsomini del 2011 (che ha portato alla cacciata del dittatore Ben Alì) sta ancora lottando duramente per mantenere viva una democrazia dapprima conquistata con i denti a dispetto dei tanti detrattori interni e poi minacciata dal terrorismo che nell’ultimo anno ha già colpito ben due volte, prima al museo del Bardo e poi sulle spiagge di Sousse.

Il “quartetto” (formato da quattro organizzazioni: l’Unione generale tunisina del lavoro, la Confederazione dell’industria del commercio e dell’artigianato, la Lega tunisina per i diritti dell’uomo e l’Ordine nazionale degli avvocati di Tunisia).rappresenta la parte della società civile che ha un grosso merito in questa vicenda. È però interessante approfondire anche quelle vicissitudini politiche che hanno consentito al quartetto di poter svolgere pienamente il proprio compito.

Nell’Estate del 2013, quando la Costituente era riunita per discutere le ultime modifiche alla nascente Costituzione tunisina, nella piazza antistante il Parlamento era assiepata una folla numerosa divisa in due fazioni. Da una parte gli anti-rivoluzionari, politicamente appoggiati da un’esigua rappresentanza parlamentare ma piena zeppa di esponenti del vecchio regime e con importanti agganci con paesi stranieri che guardavano con preoccupazione alla buona riuscita dell’esperimento rivoluzionario tunisino; dall’altra i sostenitori della Costituente fra cui molti militanti del maggior partito della maggioranza, il Partito islamico moderato Ennahda.

Il clima era rovente ed i timori per un contro-golpe stile Egitto erano tanti. Ed è in questo frangente che le leadership politiche hanno fatto la differenza ed hanno evitato una deriva pericolosissima al Paese, che può considerarsi a tutti gli effetti l’esperimento politico più riuscito degli ultimi anni. Il Presidente Ghannouchi – leader indiscusso del partito Ennahda, che ha vissuto in esilio a Londra il lunghi anni del Regime di Ben Alì – vola a Parigi dove Essebsi, l’anziano leader del fronte antirivoluzionario e personaggio di spicco nella prima fase del regime di Ben Alì, si trova per delle cure. L’incontro di Parigi sarà l’incontro decisivo in cui verranno decise le sorti della Tunisia: Essebsi chiedeva lo scioglimento della Costituente e che il governo venisse affidato alla sua forza politica, mentre Ghannouchi non intendeva in alcun modo porre fine alla esperienza della costituente essendo piuttosto disposto a fare un passo indietro sulla guida del governo.

Si giunse così ad un accordo che si articolava su tre punti principali: la costituzione di un governo di tecnici con l’impegno che nessuno dei suoi membri si sarebbe candidato alle elezioni successive; la Costituente si sarebbe dovuta sciogliere non appena approvata la costituzione e si sarebbe dovuto rimuovere l’articolo che prevedeva un limite di età per l’elezione del presidente della Repubblica, clausola che avrebbe automaticamente escluso l’allora ottantasettenne Essebsi; il regolare svolgimento delle elezioni non sarebbe più stato garantito dal ministero dell’interno, che nonostante la rivoluzione era ancora saldamente nelle mani dei seguaci di Ben Alì, ma ci si sarebbe dovuti affidare ad una autorità indipendente per il monitoraggio di elezioni regolari, l’Isie.

L’accordo andò a buon fine, e la Tunisia oltre ad essersi dotata di una costituzione moderna che non si ispira alla Sharia, ha anche affrontato una nuova tornata elettorale dopo le elezioni per l’assemblea costituente. Essebsi è stato eletto presidente della Repubblica e Ghannouchi continua ad essere il leader di quell’islamismo moderato che se avesse avuto più appoggi a livello internazionale probabilmente avrebbe potuto aver maggiore fortuna anche in altri Paesi in cui la “primavera araba” è sfociata o in una guerra civile o in una nuova dittatura.

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