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Mezzogiorno senza utopie

Amedeo Lepore lunedì 12 Ottobre 2015
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Pubblichiamo l’intervento di Amedeo Lepore alla XVI Assemblea annuale di Libertàeguale

Il Mezzogiorno è in grado di costruire progetti di ampio respiro e realizzare cambiamenti profondi, senza lasciarsi sommergere dai colpi della crisi e dei suoi effetti perversi, senza farsi condizionare dallo sguardo miope del breve periodo. Un Mezzogiorno italiano ed europeo, che riscopra il valore di una piena assunzione di responsabilità per le sue sorti e che si assuma il compito di contribuire direttamente alla rinascita del Paese. I dati della Svimez sono drammatici e descrivono con chiarezza una condizione divenuta ormai insostenibile. Le analisi e i dati da soli, tuttavia, non bastano per affrontare e possibilmente risolvere la complessità del problema meridionale. Sarebbe riduttivo, inoltre, ricondurre le cause del tracollo del Sud alle sole conseguenze della crisi, per quanto esse siano state ponderose e abbiano avuto un ruolo certamente decisivo nel rendere ancor più impervio il cammino da percorrere. Lo sguardo deve andare lontano, sia in una dimensione storica dei problemi, sia in una visione di prospettiva che riesca a cogliere le possibilità di una radicale innovazione. In una percezione ampia e consapevole sta il fascino e la sfida di leggere la difficoltà del presente e di impegnarsi a costruire un nuovo Mezzogiorno.

La scelta di affermare contemporaneamente gli interessi del Mezzogiorno e quelli dell’Italia, come avvenne negli anni del “miracolo economico”, è la prima vera rivoluzione da compiere, segnando un netto cambiamento nella capacità di governare i processi economici e di liberare la forza dell’iniziativa privata, di favorire i fenomeni di investimento e di accumulazione produttiva, di realizzare le condizioni migliori per l’affermazione del mercato e per la creazione di nuova occupazione duratura. Questo vuol dire concretamente dimostrare che lo sviluppo delle regioni meridionali è una condizione essenziale per la ripresa dell’intero Paese. Si può ripartire da qui, da un profondo riassetto della governance, fondata sul superamento delle inefficienze e delle storture degli apparati pubblici, alle quali si è spesso assistito nel corso degli ultimi decenni. Anche il Mezzogiorno deve essere parte di questa riforma complessiva della macchina dell’intervento pubblico: a cominciare da una reale ed efficace riorganizzazione dell’impiego dei fondi comunitari e nazionali. È necessario concentrare e rendere efficaci gli sforzi, senza ulteriori perdite di tempo. In questo quadro, dovrebbe iscriversi anche l’esperienza della neonata Agenzia per la Coesione Territoriale.

Il pur lodevole obiettivo di semplificazione amministrativa e speditezza della spesa con cui è sorta l’Agenzia non è stato ancora perseguito, a causa di troppe incertezze e spinte centrifughe. La presenza di una pluralità di soggetti istituzionali incaricati della programmazione delle politiche di coesione ha determinato una proliferazione delle teste che devono operare sul corpo dei fondi europei e delle quote di cofinanziamento nazionale, portando, quasi inevitabilmente, alla nascita di una nuova “Idra”. Si tratta di strutture con compiti a volte diversificati, a volte sovrapposti, a volte non del tutto chiari, che rischiano di aumentare le difficoltà già esistenti nella strumentazione destinata all’impiego dei fondi europei, anziché superarle definitivamente e spingere le regioni meridionali a una ben diversa assunzione di responsabilità. Uno dei punti di svolta, nell’interesse del Mezzogiorno, è rappresentato dall’affermazione di una forma di governance, che sia in grado di dispiegare una visione lungimirante e un’azione coerente per lo sviluppo, in coordinamento con le Regioni, come potrebbe essere l’Agenzia per la Coesione opportunamente potenziata. Occorre, perciò, ampliare i suoi compiti, facendola diventare il principale strumento per le politiche a favore del Sud.

Al tempo stesso, di fronte alla crisi evidente del regionalismo dei decenni passati e dopo l’approvazione della riforma del Senato in chiave regionalista, è necessario ripensare profondamente questa forma di articolazione dello Stato. Il primo passo da compiere, per evitare che il “vuoto” sia occupato da una nuova forma di centralismo, può essere l’affermazione di una logica macroregionale nei fatti. Nella prospettiva di una riforma costituzionale, come veniva auspicato da Giorgio Ruffolo in un più ampio disegno europeo, nazionale e federalista delle macroregioni, si può realizzare uno schema a geometrie variabili, secondo il quale le Regioni si accorpino e lavorino insieme in base a temi e funzioni omogenee, di volta in volta mutevoli. È quanto si sta già facendo, nell’ambito della Conferenza delle Regioni, per iniziativa degli Assessori alle attività Produttive centro-meridionali, che si stanno confrontando e raccordando sull’argomento del Masterplan per il Mezzogiorno. In questo modo, attraverso un sistema innovativo e fluido, si evita ogni riedizione di un improbabile “fronte del Sud” e si imprime all’azione delle istituzioni meridionali una spinta verso un orizzonte nazionale ed europeo, con il superamento di ogni rivendicazionismo inutile e improduttivo e una precisa assunzione di responsabilità in termini di governo complessivo del Paese.

La condizione del Mezzogiorno richiede una più decisa iniziativa di politica economica nazionale ed europea, che ponga al centro dei suoi obiettivi lo sviluppo economico, l’industria manifatturiera e le infrastrutture fondamentali, le attività innovative, l’impiego dei talenti dei giovani e l’occupazione, attraverso il rilancio degli investimenti produttivi. Le regioni meridionali sono chiamate a compiere una svolta nei loro progetti, nella loro azione e nelle loro capacità realizzative, inaugurando una nuova stagione di responsabilità, efficienza e concretezza dei risultati. La Campania può contribuire in modo decisivo a questa prospettiva, attraverso la costruzione di una fase di sempre maggiore crescita economica. Il Sud va inserito all’interno di scelte nazionali, che tengano conto di un’unica strategia per implementare investimenti pubblici e privati. L’iniziativa può dirigersi verso due obiettivi generali. Un’iniziativa decisa di intervento nelle situazioni di crisi e di impoverimento sociale e produttivo, per recuperare un divario cronico. Un forte impulso per la valorizzazione delle eccellenze industriali, di ricerca e territoriali che hanno resistito e si sono affermate in condizioni aspre. In particolare, poi, l’idea di richiamare i grandi gruppi, come Finmeccanica e Fincantieri, a effettuare nel Sud una parte più consistente di investimenti può stimolare un meccanismo autopropulsivo di sviluppo, promosso sia da investimenti veri e propri che dalla pratica di “adozione” delle PMI da parte delle industrie più grandi.

La gestione delle crisi aziendali non può riguardare solo la ricerca di ammortizzatori sociali e forme di assistenza, relegando la funzione del lavoro a una posizione di mera difesa. L’ambito delle crisi industriali, nei rapporti tra la Regione e il Governo, può offrire i presupposti d’azione per trasformare un problema in un’opportunità, considerando le aziende in difficoltà nel loro insieme come un’occasione per incentivare nuovi investimenti di carattere interno e, soprattutto, internazionale, come è già avvenuto di recente in alcuni specifici casi, che hanno positivamente registrato il diretto impegno del governo nazionale. Si tratta di avviare una svolta produttiva e di innescare un nuovo processo di sviluppo economico, non limitandosi ad affrontare le situazioni di sofferenza e di crisi, che richiedono in ogni caso un impegno di notevole portata, ma puntando a fare delle realtà produttive più avanzate della regione un punto di forza sistemico da valorizzare in una logica innovativa di competitività e di mercato.

Una prima azione di fondo può agire sui fattori di competitività, riducendo il global tax rate per chi investe nei territori della Campania e del Mezzogiorno, attraverso un beneficio fiscale in grado di stimolare le attività delle imprese con una semplificazione degli strumenti di agevolazione disponibili e meccanismi diretti di sostegno agli investimenti. Si tratta di un’operazione massiva sui fattori per la crescita del PIL, orientata all’attrazione degli investitori privati. Il credito d’imposta, mirato alla realizzazione di un diffuso incremento dei beni strumentali e tecnologici delle imprese e dotato di un meccanismo automatico per la concessione degli incentivi, può avviare una ripresa consistente delle regioni meridionali. Su questo punto come su altre priorità, Governo e Regioni possono contribuire a realizzare una nuova frontiera di sviluppo, dimostrando concretamente la propria volontà di collaborare e di dare un impulso decisivo all’economia italiana, attraverso un’agenda condivisa della competitività per il Mezzogiorno.

Per le regioni meridionali occorrono decisioni lungimiranti, che colleghino il processo profondo di riforme in corso con le opzioni economiche necessarie per far decollare le strategie di sviluppo, attivando politiche ordinarie e progetti strategici di carattere speciale, come previsto dalla Costituzione. Insomma, il Paese è chiamato non a un ripensamento delle scelte innovative per il Sud, per ora solo avviate, ma a percorrere con coraggio la strada della coerenza e dell’impegno per imprimere una spinta alla crescita dell’economia meridionale. Il Mezzogiorno non ha bisogno di utopie o fughe in avanti, ma di strumenti concreti per costruire un futuro diverso, a partire dalle proprie forze e dai mezzi disponibili. Quello che non può mancare, in ogni caso, è una strategia nazionale per lo sviluppo e la coesione, capace di inserire la responsabilità del progresso economico e sociale del Mezzogiorno in un contesto sistemico e in politiche di ampio respiro. In questo quadro, nel Sud si potrà invertire uno degli assiomi dell’economia di un tempo passato, la legge di Gresham, facendo in modo che la moneta buona scacci quella cattiva.

 

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