All’indomani delle elezioni si è scatenata la guerra a chi è più politicamente corretto. Si dirà sindaco, sindaca o sindachessa? Bisogna scrivere mamma o solo candidata? Si interrogano i giornali italiani. Non stiamo parlando di riviste e tabloid ma proprio dei maggiori quotidiani del paese. E due giorni dopo le elezioni, Repubblica decide di dedicare tre pagine alle due sindache (così non corriamo rischi) Raggi e Appendino scritte interamente da giornaliste donne. Che se avessero vinto, che so, Giachetti e Fassino invece le avrebbero scritte giornalisti uomini. Ma che vuoi i tempi cambiano.
Così, con la nuova tornata elettorale il paese si scopre femminista. E questa è una notizia. In quanto tale bisogna dedicarci articoli, in quanto tale nelle riunioni di redazione le giornaliste si scatenano a proporre termini boldrinianamente corretti. E’ qui che si scopre il provincialismo di casa nostra, per cui nel voler sottolineare che non ci sono differenze, soprattutto nel linguaggio, queste differenze si marcano. Ma in negativo. Succede così che invece di parlare di contenuti si parla del nulla, che in questa improvvisa gara al femminismo le donne ghettizzino le altre donne. Succede così anche che all’interno di una articolo di Concita De Gregorio che presenta Raggi e Appendino come due madri, venga inserito un box di Michela Murgia che attacca l’uso smodato del termine mamma per indicare due politici (o politiche?), cosa che non sarebbe, a sua detta mai avvenuta se si fosse trattato di due uomini. Senza rendersi conto che ormai è proprio lo sdoganamento della vita privata dei singoli a segnare la differenza, pertanto si parla allo stesso modo, cioè a sproposito, del bacio al Gianicolo di Roberto Giachetti e del figlio di Nichi Vendola. E’ la parità bellezza. E fa male.
Si citano i tacchi di Boschi e i lifting di Berlusconi, i capelli di Appendino e il parrucchino di Trump. E’ triste, ma forse una domanda su cosa sia il giornalismo in questo paese ce la dovremmo fare.
Dedicare articoli e titoli all’eccezionalità dell’elezione di due donne non sottolinea forse il fatto che si tratta appunto, di un’eccezione? Eppure abbiamo e abbiamo avuto presidenti di Camera donna, direttori di giornali, presidenti di importanti commissioni, ma sindaci della capitale no, in effetti. C’è una prima volta per tutto.
E’ per esempio la prima volta che due donne incinta fanno una così intensa campagna elettorale. Ma di questo non si può parlare per non essere tacciate di maschilismo. Dobbiamo essere pari a tutti i costi.
Ecco, pari appunto e non uguali. Che fare un comizio al Pantheon, in mezzo alla calca, con il pancione o partorire e tornare a girare per i quartieri della città non è lo stesso che per un uomo. Che dover governare all’ombra della Mole o a palazzo Chigi o in sede Ue allattando un bambino non è lo stesso che farlo potendo tornare a casa a mezzanotte e buttarsi sul divano. Tanto di cappello a Giorgia Meloni che a Otto e mezzo dichiarava che avrebbe fatto la campagna che poteva fare, cioè saltando ogni tanto qualche comizio (conoscendo il tipo, pochi), e “la gente capirà”. E poi ha parlato d’altro. Ma anche a ministre che hanno non dovuto ma voluto accettare l’incarico a gravidanza inoltrata -e prima di Marianna Madia c’è stata Giovanna Melandri- pur sapendo a cosa andavano incontro. Non rimaniamo ancorate al mito – quello sì che sarebbe uniformarsi al maschile – della superdonna che ha quattro figli, cucina e lavora fino all’alba (“ma lei come fa?” chiedeva un finto giornalista alla magnifica Anna Marchesini nei panni della madre superdinamica: “Io? Sniffo!”). Invece battiamoci perché le donne che “devono” lavorare possano fare la gravidanza e la maternità che vogliono. E a proposito, le nuove sindache potrebbero segnare la differenza riaprendo l’annoso problema degli asili aziendali, e degli asili in genere.
Adesso però basta con l’Accademia della Crusca, le nostre hanno altro da fare. Per esempio governare la città. Poiché nessuna delle candidate ha improntato la propria campagna rivendicando un ruolo “al femminile”. Non facciamolo noi adesso per favore.
Giornalista. E’ stata portavoce alla vicepresidenza del Senato, redattrice del Riformista e coordinatrice redazionale delle Nuove Ragioni del Socialismo. Ha scritto sul Riformista, manifesto, Repubblica.it, D-La repubblica delle donne, e altri. È mamma e si ostina a occuparsi di teatro.