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Un Gettysburg Address per l’Europa

Marco Martorelli giovedì 24 Marzo 2016
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“Now we are engaged in a great civil war, testing whether that nation, or any nation so conceived and so dedicated, can long endure”. Correva l’anno 1863 e con il famoso Gettysburg Address (https://it.wikipedia.org/wiki/Discorso_di_Gettysburg) l’allora presidente Usa e leader unionista Abraham Lincoln poneva – nel momento più buio della guerra civile americana – le basi ideali per la rinascita di quella che sarebbe divenuta la nazione più prospera e potente dei secoli a venire.

Centocinquantatré anni dopo, all’indomani degli attentati di Bruxelles – la capitale dell’Ue –  parole simili potrebbero servire a noi europei per prendere consapevolezza di questa sorta di guerra civile che ci coinvolge tutti e concepire un futuro migliore per l’Europa.

“Guerra civile”, come tutte le definizioni di questi giorni, può risultare un nome inadeguato (per eccesso o per difetto) a descrivere quanto sta accadendo in Europa negli ultimi anni, ma, se consideriamo che sono oltre quattrocento le vittime degli attentati del terrorismo islamista che hanno colpito – a partire dal 2004 – Madrid, Londra, Parigi e Bruxelles, non possiamo più illuderci che il conflitto non sia (anche) in casa nostra e che non veda contrapporsi europei ad europei.

È necessario però sfatare due interpretazioni, distorte quanto diffuse, che non aiutano ad inquadrare la portata del tema: quella pessimistico/apocalittica secondo la quale è in corso un’invasione islamista dell’Europa – attraverso la doppia tenaglia del terrorismo e dell’eccezionale afflusso di migranti da medioriente e nordafrica – e quella ottimistico/riduttiva per cui basterebbe un rafforzamento della cooperazione tra le intelligence europee ed una maggiore attenzione al “disagio delle periferie” per venire a capo dell’emergenza in cui ci troviamo.

Anzitutto – cominciamo con l’illusione n.1 –  lo stragismo in Europa non è un invenzione degli jihadisti e non è un fenomeno in aumento (si veda a tal proposito l’Eu terrorism situation & trend report 2015 dell’Europol https://www.europol.europa.eu/content/european-union-terrorism-situation-and-trend-report-2015): praticamente ogni nazione europea ha conosciuto, nella seconda metà del novecento, conflitti interni striscianti, con organizzazioni clandestine (dalle Brigate rosse, all’Ira, l’Eta, la Rote Armee Fraktion, fino all’Oas francese attiva in Algeria) che hanno fatto ricorso abituale al terrorismo stragista (qui http://www.rivistastudio.com/in-breve/le-vittime-del-terrorismo-in-europa-grafici/ un interessante grafico sull’andamento del numero di vittime per terrorismo dal 1970 al 2014).

Tutto bene, quindi? No, affatto, perché gli andamenti statistici non colgono la novità del terrorismo jihadista operante in Europa, novità che risiede proprio nella sua dimensione continentale. Per paradosso, gli jihadisti si sono rivelati in questi anni tragicamente più europeisti di noi, valicando con i loro progetti di morte le frontiere delle nazioni a cui noi fatichiamo ancora a rinunciare, come ad un illusorio feticcio. Ad accomunarli e facilitarli nel compito, una lingua ed un ideale comune, ispirato ad una interpretazione riduttiva e nichilista della fede islamica.

Siamo noi europei in grado di contrapporre un linguaggio ed un ideale comune alla sfida di sangue mossa da queste nostre esigue minoranze?

Di certo – e veniamo all’illusione n.2 – non basterebbero la pur auspicabile cooperazione tra le intelligence europee e l’altrettanto auspicabile maggiore attenzione al “disagio delle periferie”, in quanto mancanti di un presupposto necessario quanto drammaticamente carente di questi tempi: una leadership ed una “visione” europea, patriottica, ambiziosa e di lungo periodo.

Il problema del campo di battaglia di Bruxelles, come prima di Parigi e di altre nostre città è che manca un Abraham Lincoln (e mancano i soggetti istituzionali e partitici adeguati a produrre un Lincoln) che possa stare in piedi sulle macerie e – onorando le vittime degli attacchi – possa dire credibilmente: “that we here highly resolve that these dead shall not have died in vain”.

Senza questo presupposto, che si tratti di una guerra civile o meno, noi europei rischiamo nel futuro di uscire sconfitti.

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