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Un partito per le riforme “con” il leader

Magda Negri giovedì 1 Ottobre 2015
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Pubblichiamo l’intervento di Magda Negri alla XVI Assemblea annuale di Libertàeguale

La destrutturazione perdurante di un centro destra potenzialmente di governo e l’immobilismo del M5S, i nostri principali competitori, non paragonabile al sistema politico di nessun sistema europeo e quindi alla situazione di nessun partito socialista europeo, ci consegna un campo aperto per la strutturazione del Pd e una situazione di grande vantaggio per la nostra proposta politica. Petruccioli ha ripercorso il travagliato processo di nascita del partito, con le opzioni culturali, anche divergenti, che lo hanno affaticato. Il professor Fabbrini ne ha proiettato a livello europeo la necessità, come forza innervante di un governo forte e riconosciuto.

Il battesimo ufficiale poteva certo avvenire con il referendum del 1999, mancato per un pugno di voti. Quasi 10 anni dopo, con lo Statuto del 2008, abbiamo fondato un partito “eccezionale”, del tutto inedito, perché sintesi di culture riformiste diverse, ma con eguale cultura di governo, a vocazione maggioritaria, fortemente insediato, popolare, di programma e di progetto con un orizzonte valoriale che ne definiva l’identità. Insomma un partito per compiere i 15 anni di bipolarismo imperfetto dell’Ulivo e per dare al Paese un governo progressista. Parimenti abbiamo voluto una organizzazione “eccezionale”,  mai vista in Italia e in Europa, mossa da due motori: gli iscritti e gli elettori delle primarie aperte per le elezioni alle cariche monocratiche, del segretario nazionale e regionali. Due soggetti con doveri, specifici differenziati e forti: produrre iniziativa politica, proporre i candidati alle cariche istituzionali, votare nei referendum sia interni che aperti agli elettori, promuovere la conferenza di programma annuale, i forum tematici permanenti, essere consultati e proporre attraverso il Sistema Informativo per la Partecipazione.

La nostra è una tipologia organizzativa multilivello, che richiede l’attivazione continua di grandi risorse democratiche da implementare con grande cura e sollecitudine per stabilire tra i vari livelli (nazionali, locali, gli iscritti, la base degli elettori) relazioni significative nell’ottica di un partito riformista ed estroverso.

La tenuta e la pubblicità dell’Albo degli iscritti e degli elettori ne sono gli strumenti operativi base. È ora di trarre un bilancio: nei fatti non abbiamo mai schiacciato il bottone per illuminare la nuova stanza e con evidente doppiezza la costituzione materiale del Pd è basata sulla struttura correntizia determinatasi nell’ultimo congresso che coesiste agevolmente con quella vetero correntizie dei due precedenti, autodeclinatesi a loro volta in nuove sub organizzazioni. Di fatto si esercita, a mio parere, un abuso di potere vero e proprio sul partito. Se un giovane brillantissimo volesse iscriversi nel Pd, in molte organizzazioni, se non dichiara una sub appartenenza, non entra nemmeno nel direttivo di Circolo.

Una limpida logica di maggioranza-minoranza è una parte residuale dell’attuale pluralismo del partito.

Alcuni numeri che riguardano gli iscritti al PD: 2009 831.042 iscritti; 2010 617.240; 2011 607.897; 2012 500.163; 2013 539.354; 2014 376.849. per il 2014 bisogna considerare il grande ritardo, solo a luglio, del tesseramento. Appare saggia la decisione di fare ora il tesseramento triennale ma bisognerà sapere di più sulle forme.

Il secondo motore del PD sembra essersi inceppato meno: elettori delle primarie aperte ottobre 2007 3.517.000; 2009 3.102.709; 2012 3.110.210; 2013 2.805.695.

C’è una flessione, ma proporzionalmente più contenuta. Importante quello che ha dimostrato Nicola Fasano in numerose ricerche: permane tra i “selettori” del Pd un forte zoccolo duro, fidelizzato, attivamente partecipante, non sono cittadini che passano quel giorno per caso. Per le proposte cui ci invitava Petruccioli ho idee semplici. 1. sdoganare l’uso degli albi delle primarie; 2. abolire le primarie per le elezioni dei segretari regionali, se non candidati anche alla premiership regionale; 3. difendere le primarie come tratto distintivo del Pd evitandone un uso troppo discrezionale: 4. attuare l’articolo 49 della Costituzione votando la legge sul riconoscimento giuridico dei partiti, per il quale abbiamo prodotto una conclusiva elaborazione nel corso della Sedicesima e Diciassettesima legislatura.

Se non vogliamo diventare un base-less party molte cose vanno aggiustate, evitando di assorbire totalmente il Pdnei vari livelli amministrativi, con una vita associativa desertificata intorno a micro filiere personali, privando i militanti di significativi incentivi simbolici e materiali.

Un warning: la futura classe dirigente parlamentare con l’Italicum, tranne che per i capilista, sarà tutta selezionata con le preferenze uniche, con lo sviluppo di una fortissima concorrenza infrapartitica. Esattamente il contrario rispetto alla cultura della sinistra democratica, dell’Ulivo, dei bipolaristi, che sempre hanno scelto il collegio uninominale con la conseguente coesione del PD versus il competitore politico. Registriamo – per l’eterogenesi dei fini – a 20 anni di distanza un pauroso ritorno all’antico.

Restano alcuni problemi, 1. come si esercita la democrazia di mandato, della maggioranza e del segretario vincitori alle primarie in un contesto pluralistico, senza trasformare il Pd in un partito ingessato di fans, oppositori a prescindere e consulenti. È sempre più evidente il problema della qualità della classe dirigente. 2. il ruolo della leadership che concentra ormai eccezionali risorse di potere e di responsabilità, e di visibilità mediatica. Per moltissimi, del Pd e non solo, la leadership deve diventare il terzo motore turbo diesel per tutti i partiti della Terza Repubblica, quasi risorsa non solo indispensabile ma unica.

Io mantengo una visione “relativa” della funzione della leadership, certo con alti valori simbolici unificanti, ma continuo ad immaginare un Pd “con il leader” e non “del leader” (eterno problema del partito personale) o peggio “per il leader”, cioè funzione, strumento a suo servizio.

In questa situazione, come alimentare non solo dall’alto, un movimento per le riforme? Petruccioli ha parlato di relazione feconda tra gli iscritti e gli eletti. Il Pd non può essere pura macchina di propaganda, megafono della contingente azione di governo, ma deve pur tuttavia condividerne l’orizzonte strategico. Qui è necessaria l’azione creativa e autonoma del partito, di collegamento con i corpi sociali, con i cittadini che diciamo essere sempre più informati, deideologizzati, portatori di molteplici interessi. È un lavoro di tessitura molto complesso. Per farcela c’è una precondizione. Userò le parole di Michele Salvati nel suo articolo sul Corriere della Sera di giovedì 24 settembre “….soprattutto il programma di riforme andrebbe spiegato al partito, inserendolo in una narrativa che sottolinei le continuità e giustifichi le differenze con la sinistra tradizionale, che spieghi quanto essa deve cambiare affinchè ciò che è essenziale non cambi…”

Nulla di più lontano dalla teoria e dalla pratica della rottamazione, che consegna alle discariche della storia culture, passioni, persone.

 

 

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