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Molti competenti e politici esperti: parte il governo Draghi

Carlo Fusaro venerdì 12 Febbraio 2021
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di Carlo Fusaro

In quattro minuti, Mario Draghi ha letto la lista dei ministri del nuovo governo, dopo aver sciolto la riserva un’ora prima, ha salutato e se n’è andato. Zero dichiarazioni, un bel sorriso. Ventitré ministri, 8 senza portafoglio (+ 1 che diventerà con portafoglio: Garavaglia, Turismo), 15 con. Otto sono anche le donne (cinque senza portafoglio).

Nove sono ex del governo Conte, alcuni importanti e confermatissimi: Di Maio agli esteri (inutile storcere il naso e stupido: è stato decisivo per garantire il sostegno del M5S), Lamorgese agli interni, Guerini alla difesa, Patuanelli che però passa all’agricoltura, Franceschini che però perde il turismo, D’Incà che resta ai rapporti col Parlamento, Dadone che passa alle politiche giovanili, Bonetti che ritorna dopo le dimissioni alle pari opportunità e famiglia. Soprattutto spicca, a mio avviso meritata (lo so: molti la pensano diversamente, ma io ne sono arciconvinto dati alla mano) la conferma alla salute di Speranza: riprova che nel contesto generale ha fatto un decorosissimo lavoro (anche sulle vaccinazioni, ad oggi, tenuto conto delle fiale che ci hanno mandato).

Sui 23 ministri e ministre mi pare di poterne attribuire ai partiti politici impegnati a sostenere il governo 15; otto sono invece tecnici di fiducia di Draghi. Quattro ministri e ministre M5S (Di Maio, Patuanelli, D’Inca, Dadone). Tre (e di peso) al Pd: Guerini e Franceschini confermati e il nuovo Orlando al lavoro.
Tre alla Lega: Giorgetti, all’importantissimo sviluppo economico (del resto un sostenitore ante-marcia di Draghi al governo e della svolta leghista), Garavaglia al turismo, Stefani alla disabilità (segnale importante!).

Tre anche per Forza Italia, numericamente premiata ma con incarichi senza portafoglio: Brunetta (battutosi come un leone da mesi per questa svolta e europeista a tutta prova) alla pubblica amministrazione (dove è già stato con qualche successo), Gelmini alle regioni, Carfagna al sud e alla coesione sociale. Un ministro ciascuno a Italia Viva (conferma per la brava Bonetti) e – s’è già detto – a LEU per il bravo Speranza.

Veniamo ai ministri scelti solo in ragione della competenza da Draghi (nessuna esplicita casacca: anche se hanno le loro idee politiche, in qualche caso note), dove spiccano personalità conosciute e nomi nuovi.

Il direttore generale della Banca d’Italia, già ragioniere generale dello Stato, Daniele Franco va al posto di Gualtieri all’economia. A lui un ruolo decisivo nel PNRR da 209 mld. Marta Cartabia, già presidente fino a due mesi fa della Corte costituzionale, va alla giustizia e sostituisce il criticatissimo Bonafede (svolta assai significativa). Con Marta abbiamo lavorato alla direzione dei “Quaderni costituzionali” (e del resto ne è diventata co-direttrice di recente), e quindi sono in conflitto d’interesse: chiaro che ne penso tutto il bene possibile. Raccoglie una delle sfide più toste. Roberto Cingolani, un fisico e manager di successo lascia Leonardo Spa e va a occuparsi della famosa transizione ecologica e dell’energia (decisiva per il mondo, l’Italia, il Recovery).

Alle Infrastrutture e Trasporti (fondamentali per una parte rilevante degli investimenti) va Enrico Giovannini, già presidente Istat, e uomo di grandi capacità organizzative. All’Istruzione va un economista applicato di vaglia che si è sempre occupato di formazione e scuola, Patrizio Bianchi. All’Università va la rettrice dell’Università Milano Bicocca Cristina Messa. Alla innovazione e alla transizione digitale (altro caposaldo) va con prospettive di portafoglio (per ora senza), quel Vincenzo Colao cui fu affidato il compito sei sette mesi fa di redigere un piano (dal governo Conte), pieno di tante idee, molte delle quali buone, che poi fu messo in un cassetto: adesso potrà provare a tradurne alcune in realtà. È un grande manager di provata esperienza.

In sintesi: uomini e donne di Draghi sono tutti accademici/che tranne Franco e Colao. (Anche fra i ministri e le ministre collegabili ai partiti che reggono il governo vi sono peraltro accademici: Bonetti e Brunetta, se non dimentico qualcuno.) Nel complesso diversi bei nomi, molte competenze difficilmente discutibili, alcuni veri e propri astri nascenti, una serie di politici per lo più stimabili e di una certa esperienza. Il modello è davvero il governo Ciampi (speriamo duri di più, però). Funzionerà? Sapranno passare dalla teoria alla pratica in un contesto ostile (quale resta quello nostrano)? Lo si deve e vuole sperare.

Stavolta però (un po’ – appunto – come nel 1993) la vera e prevalente differenza sta nella straordinaria personalità di Mario Draghi, alla fiducia che Mattarella e il mondo intero hanno in lui (a partire dai nostri interlocutori principali in Europa e al di là dell’Atlantico), alla larga base parlamentare che dovrebbe consentirgli di fare le cose. Fare il tifo per lui e per la squadra, dare una mano e non mettersi nel mezzo, è nell’interesse di tutti e direi di più, quasi un dovere patriottico. Perché guardiamoci in faccia: se non ce la facciamo dopo esserci giocati anche la carta Draghi, ad essere ottimisti buttiamo via un altro paio di generazioni.

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