LibertàEguale

Digita parola chiave

Il Pd e gli inconvenienti della subalternità

Lorenzo Gaiani mercoledì 3 Marzo 2021
Condividi

di Lorenzo Gaiani

Il Movimento Repubblicano Popolare (MRP) fu un partito di matrice democristiana fondato nel 1944 da un gruppo di esponenti cattolici francesi che avevano partecipato alla Resistenza e che si impose subito insieme ai socialisti e ai comunisti come una delle forze dominanti della IV Repubblica, esercitando un forte influsso sulla stesura della Costituzione, ed affermandosi, come rilevano gli storici, essenzialmente come il “partito delle istituzioni”. Di fatto, il MRP partecipò a tutti i Governi che si succedettero dal 1944 al 1958, ed espresse ben tre Presidenti del Consiglio (Georges Bidault, Robert Schumann e Pierre Pflimlin).

Sostanzialmente le sue fortune elettorali derivarono dal fatto che, pur avendo una piattaforma sociale avanzata basata sui principi del sindacalismo cattolico, era diventato il partito di raccolta dell’elettorato moderato, dal momento che le forze della destra prebellica erano uscite screditate dal loro fiancheggiamento del regime di Vichy e dal collaborazionismo con gli occupanti nazisti.

Quando nel 1958, nel pieno della crisi algerina, Charles De Gaulle venne richiamato al potere, il MRP fu lestissimo nell’allinearsi e nel sostenere la riforma costituzionale che portò all’instaurazione della V Repubblica, ma i suoi consensi si assottigliarono progressivamente a favore dell’Unione per la Nuova Repubblica (UNR) il partito più direttamente legato al Generale, che divenne a poco a poco la forza egemone all’interno della destra repubblicana.

Dopo qualche anno, per sopravvivere, il MRP dovette fondersi con altre forze centriste per dare vita al Centro Democratico, che a sua volta alcuni anni dopo, federandosi con liberali e radicali, avrebbe generato l’Unione per la Democrazia Francese (UDF) sotto l’egida di Valery Giscard d’Estaing, ma rimanendo comunque subordinato ai neogollisti.

Quando a metà degli anni Sessanta l’ultimo leader del MRP, Jean Lecanuet (rispettabile figura di ex partigiano che divenne Ministro negli anni giscardiani), venne in visita in Italia, alcuni esponenti della DC italiana gli chiesero le ragioni del crollo repentino dei consensi del suo partito. Lecanuet rispose: “È semplice: per anni abbiamo predicato ai nostri elettori che dovevamo sostenere De Gaulle ad ogni costo, che lui era il nostro capo, il nostro punto di riferimento. Alla fine i nostri elettori ci hanno preso in parola. Fin troppo”.

Naturalmente un paragone fra il generale De Gaulle e Giuseppe Conte è improponibile e assurdo, ma una qualche analogia fra il comportamento del MRP e quello del PD in questi ultimi mesi è riscontrabile, in particolare alla luce dei sondaggi che vedono un Movimento 5 stelle guidato dall’ex Presidente del Consiglio sottrarre voti al PD senza che la (ipotetica) coalizione di sinistra ne benefici più di tanto, mentre la destra nel suo complesso veleggia oltre il 45% dei consensi.

Non si tratta qui di voler negare ad ogni costo la possibilità di un’alleanza fra il PD ed il M5S: semplicemente nessuno si è ancora preoccupato di spiegarne le basi politiche, di definirne le prospettive programmatiche e le idee per il rilancio di un Paese che, anche prima della botta terribile della pandemia, aveva un problema cronico di mancanza strutturale di crescita. Fin qui abbiamo avuto solo le encicliche dogmatiche di qualche Suslov capitolino, che sembrano postulare l’annullamento dell’iniziativa politica del PD a favore di un’alleanza e di una leadership che, sondaggi alla mano (lo so che i sondaggi contano quello che contano, ma evidentemente hanno un loro peso, se no non se ne commissionerebbero in continuazione) hanno un effetto negativo sui consensi del partito.

Peraltro, come dice con bella franchezza in un’intervista ad “Avvenire” del 3 marzo l’ex Ministro pentastellato Fraccaro: “Non c’è in Italia un’alleanza strutturale (…) evitiamo fughe in avanti e accordi siglati a prescindere dai progetti. In questo momento il M5S deve concentrarsi sulla ristrutturazione interna e puntare a rilanciarsi. Anche perché solo con una guida solida e carismatica il Movimento potrà portare avanti alleanze in modo trainante e senza subirle”.

Ecco, si sostituisca in queste dichiarazioni la sigla del M5S con quella del PD e per il resto le si potrebbe definire un buon programma a medio termine per il partito che venne fondato nel 2007 con l’aspirazione di essere la casa di tutti i riformisti ed i progressisti di questo Paese, senza subalternità verso alcun salvatore della patria.

 

Tags:

1 Commenti

  1. Gino Melchiorre mercoledì 3 Marzo 2021

    Articolo chiarissimo. Le analogie sono impressionanti. Che ne sarà del PD e di quelli che hanno creduto in quel progetto?

    Rispondi

Lascia un commento

L'indirizzo mail non verrà reso pubblico. I campi richiesti sono segnati con *