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L’ Europa davanti a un bivio

Giacomo Delinavelli lunedì 8 Giugno 2015
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cameron_tsiprasLa grande sfida europea oggi viene lanciata da due leadership di due paesi completamente differenti ma che hanno entrambi un obiettivo fondamentale: chiarire la vera natura istituzionale dell’Unione Europea non escludendo un’ipotesi di modifica dei trattati istitutivi. I due paesi sono Regno Unito e Grecia, le due leadership sono quelle di David Cameron e Alexis Tsipras.
Il premier inglese, per poter mantenere il suo paese ancorato alla più ricca area di libero scambio del mondo e quindi vincere il referendum del 2017, spinge per ottenere una versione molto più light dell’Unione Europea. Cameron immagina che l’Europa debba trasformarsi in una mera area di libero scambio per merci e servizi con delle forti restrizioni per la circolazione dei cittadini UE e limitazioni per l’invadenza della burocrazia europea. Differentemente da quanto si possa pensare, Cameron è un inglese europeista, ma l’unica idea di Europa che è possibile far passare Oltre Manica è questa qui. In contrapposizione a Cameron c’è il partito trasversale del No all’Europa che ha ancora in mente l’Impero di sua Maestà.
Parecchi chilometri più a sud, Alexis Tsipras è ben consapevole che per far uscire il suo paese dalle sabbie mobili del debito pubblico ha bisogno di un governo istituzionalmente europeo che abbia la possibilità di investire nei paesi meno competitivi come il suo. La Grecia corre il pericolo concretissimo che la mancanza di investimenti spinga il paese fuori dall’Europa sviluppata, senza opportunità di crescita per i prossimi decenni. Il progetto politico di Tsipras prevede una conferenza mondiale per la rinegoziazione del debito pubblico – cosa che in parte è già avvenuta – ed un vero percorso federalista che superi l’Europa degli stati nazionali.
In mezzo a queste due grandi proposte ci sono Francia e Germania con delle leadership stanche e ripetitive, per motivi diversi, ma entrambe intenzionate ad un’Europa più unita, che non perda nessun pezzo, e perciò senza alcuna modifica ai trattati. Nel ruolo di outsider c’è l’Italia, con la leadership energica di Matteo Renzi che inneggia ad un’Europa rinnovata ma che deve compiere lo sforzo consequenziale di proporre le necessarie modifiche istituzionali.
Due tra le opzioni in campo sono chiare, così com’è chiaro che in un modo o nell’altro la struttura istituzionale europea dovrà cambiare. L’articolazione dell’Unione, con tre organi come il Consiglio, la Commissione e il Parlamento – variamente legittimati a livello democratico – fa dell’Europa un’eccezione a livello mondiale: meno di uno stato federale e più di una mera organizzazione internazionale. Le pressioni che arrivano da nord e da sud sottolineano che questa eccezione istituzionale non è più sostenibile se non riformata. I federalisti dovranno dire chiaramente che un governo europeo dovrà prevalere sui governi nazionali per poter spostare risorse dalle area più sviluppate a quelle più arretrate. Un’Europa con 28 teste pensanti e idee divergenti ha mostrato tutti i suoi limiti, risultando insostenibile. D’altro canto una mera area economica condannerebbe l’Europa all’irrilevanza internazionale, impotente al cospetto dei giganti del mondo. Il tempo delle scelte è arrivato già da un po’ e – sebbene per anni leadership nazionali prive di una coraggiosa visione globale abbiano cercato di rimandarlo il più in là possibile – il futuro è già iniziato, adesso.

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