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La crescita dell’astensione nell’indifferenza dei partiti

Andrea Vannucci domenica 22 Maggio 2016
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L’astensione è il grande fenomeno politico emergente del nostro tempo, in Italia come in tutta Europa. I partiti sembrano non impegnarsi su questo fronte; forse anche perché -conti alla mano- gli conviene lasciare che i votanti diminuiscano?

La partecipazione al voto è progressivamente calata in tutta Europa, soprattutto a partire dai primi anni ’90. Fra i paesi membri originari dell’Unione a 12 (che costituiscono una buona base di confronto, per la loro struttura istituzionale e politica più omogenea nel periodo considerato), neanche uno oggi mostra tassi di partecipazione alle elezioni parlamentari confrontabili con quelli che si registravano negli anni ‘60-70.

Con le uniche significative eccezioni di Belgio (-2%) e Danimarca (-5%), le quote medie di partecipazione (calcolate come percentuale di elettori effettivi sulla base degli aventi diritto) sono ovunque cadute del 10-20%. Le variazioni più impressionanti sono quelle relative a Francia (-21%) e Italia (-26%), che sono anche rispettivamente seconda e terza nazione per dimensione dell’elettorato, con oltre 50 milioni di votanti potenziali ciascuna. La media ponderata per l’intera area di 12 paesi, che raggruppa oggi circa 300 milioni di votanti potenziali, mostra una partecipazione al voto che alle ultime elezioni si attesta al 64%, contro l’81% che si registrava quarant’anni fa. In pratica, ormai votano solo due europei ogni tre aventi diritto.

tabella1

tabella2

La dinamica della crescita dell’astensionismo è stata diversa per ogni paese: è iniziata già negli anni ’80 in Germania, è esplosa negli anni ’90 in Italia, Francia e Regno Unito, ha accelerato dopo il 2000 praticamente ovunque. Il disimpegno montante dalla partecipazione politica che si è propagato in Europa riguarda le istituzioni comunitarie tanto quanto quelle nazionali: i tassi di partecipazione alle elezioni del Parlamento Europeo sono crollati di pari passo, fino a registrare votanti per meno della metà degli aventi diritto alle ultime consultazioni del 2104 (sempre con riferimento ai paesi membri del gruppo originario EUR12)

Sorprendentemente (o no?) la questione non sembra essere affrontata con risolutezza dai partiti politici, che in tutta Europa fanno poco o niente per combattere l’astensionismo o fare campagna verso gli elettori indecisi o riluttanti. Può darsi che una simile strategia sia di fatto conveniente? O, addirittura, che sia frutto di una valutazione cinica e ragionata?

E’ evidente che per i partiti già consolidati non ha senso un’azione generalizzata per combattere l’astensionismo: per definizione, il consenso potenziale che ogni partito può raccogliere fra i cittadini non votanti è basso, e così portare alle urne nuovi elettori è rischioso: nel migliore dei casi, il risultato per ciascuno di loro sarà di conservare il proprio peso relativo.

Ma anche fare campagna nell’area dell’astensionismo per raccogliere voti diretti al proprio partito potrebbe risultare non conveniente. Facciamo due conti: prendiamo come riferimento la situazione di un elettorato potenziale di circa 50 milioni di cittadini, con un astensionismo del 40%, un consenso relativo sui voti validi del 32% per “MioPartito”, 15% per “MieiAlleati”, 26% per “MieiAvversari” e il restante 27% sparso a favore di “Altri” (queste cifre riflettono il quadro della politica Italiana alle ultime elezioni del 2014, visto dal partito di maggioranza relativa).

Calcoliamo gli “indici di Forza” per MioPartito, ognuno definito come rapporto il peso finale ottenuto sui voti validi rispetto ai pesi degli altri (MieiAlleati e MieiAvversari); vediamo poi di quanto variano questi indici, incrementando la base di consenso ottenuta da MioPartito di 100mila voti raccolti caso per caso nei diversi bacini di elettorato potenziale. Ecco i risultati.

tabella3

Scorriamo le cifre: una strategia politica che riesca a guadagnare per MioPartito 100mila nuovi voti direttamente dall’astensionismo porterà la percentuale di voti validi a mio favore a 32,23%, mentre i voti per i MieiAlleati caleranno a 14,95% e quelli per i MieiAvversari a 25,91%. L’incremento relativo della “Forza” per MioPartito sarà di +0,71% in generale, e di +1,04% rispetto ai MieiAvversari .

Una strategia alternativa che riesca invece a prendere 100mila voti sottraendoli a quelli dei miei avversari, invece, pur se molto più difficile da realizzare darà risultati ben più significativi: il risultato per MioPartito balzerà al 32,33% mentre quello dei MieiAvversari calerà a 25,67%, con astensione e altri risultati invariati. L’incremento relativo di Forza diventa +1,04% in generale e +2,35% rispetto ai MieiAvversari. La mia azione, d’altra parte, porta beneficio anche ai MieiAlleati, con un incremento di Forza per la coalizione pari a +2,02%. Forse la sfida è dura, ma il beneficio politico è più che doppio.

Ma la strategia politica di gran lunga più profittevole -e tutto considerato, assai più facile da attuare- è quella di sottrarre voti direttamente ai miei alleati. Se riesco a portare al MioPartito 100mila dei voti prima diretti ai MieiAlleati, l’incremento relativo di Forza che otterrò sarà sempre di +1,04% in generale, uguale rispetto ai MieiAvversari.

Visto che lavorare per convincere un elettore sfiduciato è più arduo che non sottrarre un voto ad altri, è decisamente meglio concentrarsi sugli elettori fedeli e lasciare la lotta contro l’astensionismo a qualcun altro. E forse, secondo una fredda valutazione economica di sforzo contro risultato, è ancor meglio concentrare le proprie attenzioni sugli elettori dei propri alleati. E questo non è tutto: ripetendo i calcoli a partire da una base di astensionismo più alta (seconda parte ella tabella), gli impatti di tutte le possibili strategie di campagna vengono amplificati in proporzione, essendo i rapporti di forza tutti ricalcolati su basi più ridotte.

Insomma, conti alla mano, più alta è l’astensione più facile diventa per i partiti politici rendere efficaci le proprie strategie di posizionamento e mobilitazione del consenso. Dal punto di vista di uno stratega politico, è decisamente preferibile giocare alla democrazia avendo a che fare con meno elettori possibile!

La crescita dell’astensione nell’indifferenza dei partiti

L’astensione è il grande fenomeno politico emergente del nostro tempo, in Italia come in tutta Europa. I partiti sembrano non impegnarsi su questo fronte; forse anche perché -conti alla mano- gli conviene lasciare che i votanti diminuiscano?

La partecipazione al voto è progressivamente calata in tutta Europa, soprattutto a partire dai primi anni ’90. Fra i paesi membri originari dell’Unione a 12 (che costituiscono una buona base di confronto, per la loro struttura istituzionale e politica più omogenea nel periodo considerato), neanche uno oggi mostra tassi di partecipazione alle elezioni parlamentari confrontabili con quelli che si registravano negli anni ‘60-70.

Con le uniche significative eccezioni di Belgio (-2%) e Danimarca (-5%), le quote medie di partecipazione (calcolate come percentuale di elettori effettivi sulla base degli aventi diritto) sono ovunque cadute del 10-20%. Le variazioni più impressionanti sono quelle relative a Francia (-21%) e Italia (-26%), che sono anche rispettivamente seconda e terza nazione per dimensione dell’elettorato, con oltre 50 milioni di votanti potenziali ciascuna. La media ponderata per l’intera area di 12 paesi, che raggruppa oggi circa 300 milioni di votanti potenziali, mostra una partecipazione al voto che alle ultime elezioni si attesta al 64%, contro l’81% che si registrava quarant’anni fa. In pratica, ormai votano solo due europei ogni tre aventi diritto.

La dinamica della crescita dell’astensionismo è stata diversa per ogni paese: è iniziata già negli anni ’80 in Germania, è esplosa negli anni ’90 in Italia, Francia e Regno Unito, ha accelerato dopo il 2000 praticamente ovunque. Il disimpegno montante dalla partecipazione politica che si è propagato in Europa riguarda le istituzioni comunitarie tanto quanto quelle nazionali: i tassi di partecipazione alle elezioni del Parlamento Europeo sono crollati di pari passo, fino a registrare votanti per meno della metà degli aventi diritto alle ultime consultazioni del 2104 (sempre con riferimento ai paesi membri del gruppo originario EUR12)

Sorprendentemente (o no?) la questione non sembra essere affrontata con risolutezza dai partiti politici, che in tutta Europa fanno poco o niente per combattere l’astensionismo o fare campagna verso gli elettori indecisi o riluttanti. Può darsi che una simile strategia sia di fatto conveniente? O, addirittura, che sia frutto di una valutazione cinica e ragionata?

E’ evidente che per i partiti già consolidati non ha senso un’azione generalizzata per combattere l’astensionismo: per definizione, il consenso potenziale che ogni partito può raccogliere fra i cittadini non votanti è basso, e così portare alle urne nuovi elettori è rischioso: nel migliore dei casi, il risultato per ciascuno di loro sarà di conservare il proprio peso relativo.

Ma anche fare campagna nell’area dell’astensionismo per raccogliere voti diretti al proprio partito potrebbe risultare non conveniente. Facciamo due conti: prendiamo come riferimento la situazione di un elettorato potenziale di circa 50 milioni di cittadini, con un astensionismo del 40%, un consenso relativo sui voti validi del 32% per “MioPartito”, 15% per “MieiAlleati”, 26% per “MieiAvversari” e il restante 27% sparso a favore di “Altri” (queste cifre riflettono il quadro della politica Italiana alle ultime elezioni del 2014, visto dal partito di maggioranza relativa).

Calcoliamo gli “indici di Forza” per MioPartito, ognuno definito come rapporto il peso finale ottenuto sui voti validi rispetto ai pesi degli altri (MieiAlleati e MieiAvversari); vediamo poi di quanto variano questi indici, incrementando la base di consenso ottenuta da MioPartito di 100mila voti raccolti caso per caso nei diversi bacini di elettorato potenziale. Ecco i risultati.

Scorriamo le cifre: una strategia politica che riesca a guadagnare per MioPartito 100mila nuovi voti direttamente dall’astensionismo porterà la percentuale di voti validi a mio favore a 32,23%, mentre i voti per i MieiAlleati caleranno a 14,95% e quelli per i MieiAvversari a 25,91%. L’incremento relativo della “Forza” per MioPartito sarà di +0,71% in generale, e di +1,04% rispetto ai MieiAvversari .

Una strategia alternativa che riesca invece a prendere 100mila voti sottraendoli a quelli dei miei avversari, invece, pur se molto più difficile da realizzare darà risultati ben più significativi: il risultato per MioPartito balzerà al 32,33% mentre quello dei MieiAvversari calerà a 25,67%, con astensione e altri risultati invariati. L’incremento relativo di Forza diventa +1,04% in generale e +2,35% rispetto ai MieiAvversari. La mia azione, d’altra parte, porta beneficio anche ai MieiAlleati, con un incremento di Forza per la coalizione pari a +2,02%. Forse la sfida è dura, ma il beneficio politico è più che doppio.

Ma la strategia politica di gran lunga più profittevole -e tutto considerato, assai più facile da attuare- è quella di sottrarre voti direttamente ai miei alleati. Se riesco a portare al MioPartito 100mila dei voti prima diretti ai MieiAlleati, l’incremento relativo di Forza che otterrò sarà sempre di +1,04% in generale, uguale rispetto ai MieiAvversari.

Visto che lavorare per convincere un elettore sfiduciato è più arduo che non sottrarre un voto ad altri, è decisamente meglio concentrarsi sugli elettori fedeli e lasciare la lotta contro l’astensionismo a qualcun altro. E forse, secondo una fredda valutazione economica di sforzo contro risultato, è ancor meglio concentrare le proprie attenzioni sugli elettori dei propri alleati. E questo non è tutto: ripetendo i calcoli a partire da una base di astensionismo più alta (seconda parte ella tabella), gli impatti di tutte le possibili strategie di campagna vengono amplificati in proporzione, essendo i rapporti di forza tutti ricalcolati su basi più ridotte.

Insomma, conti alla mano, più alta è l’astensione più facile diventa per i partiti politici rendere efficaci le proprie strategie di posizionamento e mobilitazione del consenso. Dal punto di vista di uno stratega politico, è decisamente preferibile giocare alla democrazia avendo a che fare con meno elettori possibile!

 

 

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