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Macaluso e Petruccioli: “Comunisti a modo nostro”

Stefano Ceccanti lunedì 15 Febbraio 2021
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di Stefano Ceccanti

Senza saperlo, come ho appurato, ma questo rende la cosa ancor più interessante, in questo bel confronto serrato (“Comunisti a modo nostro. Storia di un partito lungo un secolo”) Emanuele Macaluso e Claudio Petruccioli edito ora da Marsilio hanno in sostanza imitato il titolo del testamento spirituale di Pietro Scoppola (Un cattolico a modo suo”), edito da Morcelliana nel 2008.

Un segno di come le identità tradizionali, un po’ tutte, siano state sotto tensione e, ancor più, la connessione tra identità e strumenti, in primis i partiti politici, che avevano configurato fino al 1989 la nostra Repubblica, definita per l’appunto da Scoppola nel 1991 “Repubblica dei partiti”, a cui peraltro rinviano anche esplicitamente Macaluso e Petruccioli. I due fattori strutturanti di quella Repubblica, che si sostenevano a vicenda, erano appunto l’egemonia comunista sulla sinistra e l’unità politica dei cattolici.

L’egemonia comunista si è sviluppata esattamente per le caratteristiche di flessibilità con cui il ‘partito nuovo’ di Togliatti si radica nella società italiana con scelte quali il completamento dell’approvazione della Costituzione anche dopo la rottura di Governo della primavera 1947. Questa flessibilità, però, se era positiva per quel partito e per quella parte della società italiana che contribuiva a far evolvere, era comunque limitata dal legame residuo con l’Urss, con annesso richiamo nel nome e nel simbolo, che rendeva impossibile l’alternanza di Governo.

Come in tutte le realtà complesse con una storia pesante (compresa la Chiesa cattolica prima del Concilio Vaticano II) il punto di crisi si realizza quando si viene a creare un eccesso di scarto tra le verità proclamate e quelle praticate, quando si ingenera un sistema di “doppia verità”, in questo caso addirittura rispetto al mito fondante dell’Urss, come segnala Petruccioli: “quella alla quale accedono coloro che dirigono e quella riservata ai diretti, ai quali non dici tutto quello che sai ma solo quello che pensi sia utile”.

Se si abbandona di fatto, progressivamente, una prospettiva rivoluzionaria, se non si rinuncia a parlare di alternativa di sistema, a rifarsi a quel mito fondante nel nome e nel simbolo, come affermare la garanzia del biglietto di ritorno da un’eventuale vittoria elettorale di quel partito? “Questa è la contraddizione di fatto in cui si sviluppa fino al 1989 l’azione del Pci, contraddizione prolungata dall’esperimento gorbacioviano, che aveva rilanciato l’illusione della riformabilità interna di quel sistema.

Per questa ragione, pur con tutti i limiti e le contraddizioni, la svolta tardiva del 1989, libera energie in tutto il sistema politico, pur indebolita sul momento, come sottolineano entrambi gli Autori, dal gravissimo errore del ritiro dei ministri dal Governo Ciampi, che sarebbe pienamente stato altrimenti il primo laboratorio effettivo dell’unità dei riformisti al Governo.

Il tentativo riprende con l’Ulivo e con la creazione nei vari partiti di componenti ‘uliviste’ tese a non concepirlo come un’alleanza ingessata tra partiti immobili, ma come embrione di un nuovo soggetto quale sarebbe poi stato il Pd. Utilissime quindi le pagine poco note sulla formazione del gruppo “La Quercia e l’Ulivo”, da cui, insieme ad altri, scaturisce poi l’associazione “Libertà Eguale”.

Qui, poi, com’è noto, e come viene ben spiegato le prospettive si divaricano: Macaluso preferisce insistere sulla possibilità di formazione di un partito socialista che non vi è stato, mentre Petruccioli, al netto delle critiche sull’esperienza concreta del Pd, rivendica le ragioni di un approccio identitario meno rigido, intriso anche di filoni liberali e cristiani, dall’ “emergere del valore centrale della persona”. A questo punto, però, meglio leggere direttamente le loro argomentazioni nelle oltre quattrocento pagine del testo.

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