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di Pietro Salinari

 

Nel nuovo clima di collaborazione con l’UE creatosi dopo l’insediamento del governo Conte bis sembra chiudersi la fase in cui le politiche italiane non erano tese, non dico a risolvere, ma neppure a tentare di gestire i problemi connessi all’immigrazione (passo indietro sui rimpatri, aumento degli irregolari grazie alla chiusura dei programmi di accoglienza).

L’aver riaperto la discussione con la Commissione e con i nostri partner europei rappresenta sicuramente un passo in avanti rispetto all’isolamento nel quale l’Italia si era confinata; tuttavia le soluzioni finora delineate, pur avendo il merito di avviare il superamento di quel teatrino estemporaneo che si produceva ogni volta che una nave carica di migranti si avvicinava all’Italia, non mi sembrano in grado di delineare una situazione capace di gestire le problematiche migratorie nel medio periodo.

Le soluzioni di cui si parla consistono infatti in un meccanismo di redistribuzione automatica tra paesi che abbiano manifestato la disponibilità a una certa quota di migranti; è tuttora in discussione se si tratti di richiedenti asilo (su cui si registra una larga disponibilità) o anche di migranti economici, che alcuni paesi vorrebbero escludere.

Si auspica da parte italiana una rotazione dei porti d’attracco, e si è fatto cenno alla possibilità che l’Italia torni a partecipare con le sue navi alla missione Sophia (attualmente la partecipazione è limitata ai mezzi aerei da ricognizione).

Nel contempo si parla di aiuti allo sviluppo in Africa e di accordi di rimpatrio, ma non si intravede un collegamento forte tra queste proposte, che invece, a mio avviso, per funzionare dovrebbero essere tra di esse strettamente collegate.

 

Le riserve francesi

Paradossalmente gli spunti più interessanti vengono proprio dalle riserve francesi a questi accordi: la Francia infatti ha manifestato la propria disponibilità ad accettare coloro la cui condizione di rifugiati sia accertata (e questo solleva il problema: accertata dove, da chi, con quali criteri e in quanto tempo) e i migranti economici provenienti da paesi che abbiano sottoscritto accordi di rimpatrio con la Francia o con l’Europa.

La diplomazia francese in sostanza ha sollevato la questione della necessità di collegare quote di accoglienza con accordi di rimpatrio e con programmi di aiuto allo sviluppo; è evidente infine che accordi con l’intera Europa siano di gran lunga preferibili ad accordi bilaterali.

In realtà il grave punto di debolezza delle proposte attualmente sul tavolo consiste nel non mettere in discussione i criteri di gestione dei flussi migratori, ma di accettare la situazione esistente, tentando di razionalizzarne solo la fase terminale, quando le navi delle ONG si avvicinano all’Europa. In questo modo gli Stati europei continuano a non avere alcun controllo sul numero e sulla qualità dei migranti, ma il meccanismo di regolazione (il rubinetto) dipende dalle opportunità di guadagno degli scafisti, dalle condizioni del mare e dalla disponibilità dei migranti a rischiare la vita in naufragi pianificati.

Uno schema di tal tipo finisce per procurare un alibi agli Stati sovranisti (che possono sostenere con qualche plausibilità che non intendono affidare ad altri il controllo dei flussi migratori) e riesce a funzionare solo se il numero dei migranti è irrisorio, come avvenuto negli ultimi anni.

Finisce tuttavia per essere messo in crisi dalla sua stessa logica: quando scafisti e migranti percepiranno che i rischi si sono ridotti, aumenteranno i salvataggi, i morti diminuiranno in percentuale, ma aumenteranno in valore assoluto; e comunque tale schema entrerà in crisi qualora si verifichi una qualche grave crisi africana.

 

Cinque pilastri coessenziali

Al contrario una politica migratoria sostenibile dovrebbe poggiare su cinque pilastri coessenziali:

1) apertura dei corridoi umanitari per i rifugiati e dei canali legali di immigrati per gli aspiranti migranti economici come sostenuto in modo veemente e persuasivo dai recenti libri del professore Stefano Allievi o come ipotizza in forma radicale la professoressa Jennifer Gordon con la “Transnational Labor Citizenship” in cui si prefigura una certificazione delle competenze dell’aspirante migrante grazie alla collaborazione tra i sindacati dei paesi di partenza e quelli di arrivo;

2) un piano di aiuti allo sviluppo dei paesi di origine dei migranti;

3) un processo di accoglienza e integrazione che cerchi di incrementare la percentuale degli immigrati “che ce la fanno” e minimizzare gli illegali emarginati;

4) un potenziamento di Frontex (a questo riguardo è interessante notare che la Von der Leyen, in una delle sue prime interviste, ha dichiarato “L’intenzione di rafforzare Frontex a 10mila agenti è buona ma il 2027 è assolutamente troppo tardi. Dobbiamo sbrigarci, come ho già dichiarato nelle mie linee guida”), a cui affidare il compito di ridurre a zero le vittime dei naufragi e le navi fantasma che, nella bella stagione, tentano di raggiungere direttamente l’Europa, un obiettivo quest’ultimo ragionevole per la Marina di una grande potenza, che, tra l’altro, potrebbe provvedere all’identificazione già in mare;

5) accordi di rimpatrio e hot spot fuori dall’Europa, in modo che nessun immigrato possa più entrare in Europa se non in possesso di visto.

 

Aprire i canali legali per chiudere quelli illegali

I punti 4 e 5 possono apparire duri, ma occorre riflettere che la riapertura dei canali legali è strettamente correlata alla chiusura di quelli illegali.

Nel contempo uno schema come quello qui abbozzato sposta il “controllo del rubinetto” dagli scafisti agli Stati e consente di gestire un’immigrazione che sia conveniente sia ai paesi di partenza che a quelli di arrivo, di ridurre a valori prossimi allo zero il numero delle persone morte in mare e delle vittime oscure nei lunghi viaggi di avvicinamento, e anche il numero degli immigrati irregolari emarginati e schiavizzati o spinti verso la malavita;

infine, è in grado di creare le premesse per un largo consenso democratico a queste politiche nei paesi di arrivo.

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2 Commenti

  1. Euro Perozzi mercoledì 25 Settembre 2019

    Due ostacoli da affrontare non citati:
    -: il razzismo comunque mascherato della maggioranza della popolazione, problema poco consapevolizzato è poco risolto.
    – la crisi demografica non risolvibile senza forti flussi migratori, anche questo è poco discusso.

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  2. silvano giovedì 26 Settembre 2019

    Il punto più innovativo tra i cinque elencati è il quinto che prevede la creazione di hot spot fuori dall’Europa ,presumibilmente nei paesi rivieraschi della sponda africana. Perchè non prevedere allora esplicitamente che i naufraghi salvati siano accompagnati in questi hotspots. Così ci avvicineremmo alla situazione “che nessun immigrato possa più entrare in Europa se non in possesso di visto”.

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