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Senza Schengen è a rischio la nostra identità di europei

Olga Micolitti martedì 9 Febbraio 2016
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Per comprendere cosa sia in gioco quando si parla di Trattato di Schengen e di frontiere all’interno dell’Unione europea, è necessario fare un passo indietro e contestualizzare un tema che tocca l’identità stessa dell’Europa, al di là dei contingenti aspetti economici o di sicurezza.

Con la sospensione parziale del regolamento di Dublino in atto dall’agosto del 2015 e il regime di Schengen che vacilla, si rischia concretamente di vedere svanire l’Europa così come l’abbiamo concepita e faticosamente realizzata. Se nel 1951 – nel pieno di un’emergenza umanitaria che portò i diversi Stati europei ad affrontare un afflusso di circa 40 milioni di profughi – è stato possibile stipulare la Convenzione di Ginevra sui rifugiati, allora perché non oggi?

Il riaffiorare dei nazionalismi e dei movimenti anti europei e anti immigrazione ci impone una seria riflessione, ma bisogna fare in fretta perché il tempo a nostra disposizione sta terminando.

Ma andiamo con ordine.

Il percorso (accidentato) verso un diritto d’asilo europeo

L’Unione europea da tempo persegue l’obiettivo di instaurare un regime di asilo comune, al fine sia di offrire uno status appropriato a qualsiasi cittadino di un paese terzo che richieda una protezione internazionale, sia di garantire il rispetto del principio di non respingimento come sancito dalla Convenzione di Ginevra del 1951 relativa allo Status dei Rifugiati, assicurando così un’adeguata e sollecita assistenza a tutte le persone bisognose e offrendo rifugio a quanti necessitano di protezione internazionale.

L’intensa attività legislativa portata avanti in quest’ambito dalle istituzioni comunitarie ha puntato quasi da subito alla creazione di un sistema europeo comune di asilo fondato sulla responsabilità e sulla solidarietà, che riducesse le differenze tra i singoli Stati membri e offrisse un elevato livello di protezione. Ad oggi tuttavia non si sono raggiunti risultati sperati. Il sistema attuale, nonostante i molti progressi fatti, non riesce ancora a fornire una protezione equa, efficiente ed efficace. In diverse occasioni, è stato dimostrato come l’applicazione del Regolamento di Dublino impedisca di fatto il benessere personale dei richiedenti asilo e il loro diritto legale a una protezione effettiva, portando anche a una distribuzione ineguale delle richieste d’asilo tra gli Stati membri.

Un sistema europeo comune di asilo che possa definirsi tale dovrebbe garantire per prima cosa un equo trattamento e garanzie adeguate per i richiedenti asilo e i beneficiari di protezione internazionale, attraverso meccanismi procedurali che aiutino le autorità nazionali a valutare correttamente e rapidamente le domande (cosa che renderebbe meno dispendiosi i processi amministrativi) e prevedendo soluzioni efficaci ai casi di pressioni eccezionali cui possono essere esposti alcuni Stati membri in particolare.

A che punto siamo oggi, sul piano giuridico e politico

Se questo è quanto ci si auspica avvenga sul piano legislativo, su quello pratico spetta all’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (EASO), con sede a La Valletta e operativo dal 2011, assistere gli Stati membri nel realizzare i propri obblighi europei ed internazionali in materia, assicurando che i singoli casi di richieste di asilo siano trattati in maniera coerente.

Non bisogna comunque dimenticare che la cooperazione nella gestione dei flussi di rifugiati e dei richiedenti asilo deve avvenire anche, e soprattutto, in collaborazione con i paesi terzi, attraverso programmi di protezione regionali che, sulla base del principio di solidarietà, creino un ampio partenariato con i paesi di origine e di transito dei flussi, così da affrontare le questioni legate al fenomeno migratorio sulla base di un vero approccio globale.

Gli sforzi intrapresi e portati avanti con fatica dalle istituzioni europee in questo senso rischiano però di essere vanificati dalla situazione contingente: a poco servono infatti norme comuni in materia di asilo se i paesi che dovrebbero accogliere i rifugiati si rifiutano di farlo. Di fronte all’emergenza immigrazione e all’assoluta mancanza di una strategia comune degli Stati dell’UE ha ancora senso parlare di un regime comune di asilo?

Gli eventi che hanno caratterizzato la cosiddetta “primavera araba” e portato i paesi del Mediterraneo meridionale ad intraprendere un processo di profondo rinnovamento politico e istituzionale (non certo privo di effetti collaterali, come testimoniano l’instabilità politica e i conflitti tutt’ora in corso nelle regioni del Vicino e Medio Oriente e del Nord Africa e che sembrano assumere proporzioni sempre più preoccupanti) hanno confermato, se mai ce ne fosse stato bisogno, la necessità di una politica dell’Unione forte in materia di migrazione e asilo.

Prima della recente ondata migratoria, la circostanza che alcuni stati membri come l’Italia, la Grecia, Malta e Cipro fossero maggiormente esposti ad un arrivo massiccio di migranti e di persone che necessitavano di protezione internazionale, era sempre stato considerato un problema solamente nazionale, senza realmente comprendere che, al contrario, richiedeva soluzioni concertate a livello comunitario e basate su un’autentica solidarietà tra gli Stati membri.

L’Unione europea ha il dovere di garantire un’adeguata e sollecita assistenza a tutte le persone bisognose e di offrire rifugio a quanti fuggiti da conflitti armati e da persecuzioni necessitano di protezione internazionale, pena la perdita non solo della nostra reputazione di continente civile e solidale, ma anche a rischio della perdita della nostra stessa identità di europei.

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