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Olio tunisino: inutile costruire barricate

Alfonso Pascale venerdì 5 Febbraio 2016
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olio

 

L’arrivo in Italia dell’olio tunisino incute paura ancor più dei migranti extracomunitari. Eppure, si tratta di autolesionismo perché l’importazione di questo prodotto dai Paesi magrebini è un vantaggio per noi. Consumiamo, infatti, quasi un milione di tonnellate di olio d’oliva e ne esportiamo 400 mila tonnellate soprattutto in USA, Germania e Francia. Ma la produzione, nelle annate migliori, non supera mai le 400 mila tonnellate. Il tasso di autoapprovvigionamento è, dunque, pari al 65-70%. È per questo motivo che importiamo molto olio, soprattutto dalla Spagna. Dovremmo gioire dell’arrivo di olio tunisino. E a dolersi dell’apertura dei mercati dovrebbero, semmai, essere gli spagnoli che subiscono la concorrenza degli oli magrebini.

La Commissione europea ha adottato una proposta che autorizza l’ingresso, senza dazio, di 35 mila tonnellate all’anno di olio tunisino nell’UE, in aggiunta alle attuali 56,7 mila previste dall’accordo di associazione UE-Tunisia. Si tratta di una misura volta ad onorare l’impegno preso dall’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza, Federica Mogherini,  di sostenere l’economia tunisina a seguito dei recenti attentati terroristici verificatisi in quel Paese.

La proposta è al vaglio del Consiglio e del PE. La Commissione Agricoltura del PE ha espresso un parere favorevole condizionato, proponendo di dimezzare il contingente d’olio che dovrebbe arrivare senza dazio e di concordare con la Tunisia una verifica dell’accordo dopo il primo anno. Anche la Commissione Commercio internazionale ha formulato un parere favorevole condizionato, chiedendo una revisione di medio termine, ma ha sorvolato sull’idea di dimezzare il contingente d’olio a dazio zero per non fare una brutta figura nella scena internazionale. Nelle prossime settimane il dossier andrà alla plenaria dell’Assemblea di Strasburgo; ed è prevedibile la definitiva approvazione entro la fine di febbraio.

La stampa ha riportato senza commenti le rituali proteste di organizzazioni ed esponenti politici per i primi semafori verdi al provvedimento. Eppure tutti sono consapevoli che la liberalizzazione degli scambi agroalimentari è ineluttabile. Anziché fingere di costruire sterili barricate, cosa impedisce alle Regioni olivicole italiane di promuovere una conferenza con la Tunisia ed altri Paesi del Mediterraneo per trovare il modo di costruire soluzioni collaborative? Si tratta di mettere in piedi progetti che vedano la partecipazione di operatori italiani e di altri Paesi del Mediterraneo, accomunati dalla volontà di aggiungere allo scambio economico anche un livello di negoziazione aggiuntiva, fondata sulla dimensione civile. L’obiettivo dovrebbe essere quello di riconoscere una quota di valore ai produttori, specie quelli dei Paesi più poveri del nostro, che sia remunerativa e di assicurare risorse per investimenti che permettano una loro maggiore inclusione nei mercati, affrontando gli aspetti igienico-sanitari, ambientali e di sicurezza del lavoro relativi alla produzioni e costruendo insieme nuovi mercati in Cina, in India e in America. Progetti di questo tipo potrebbero incontrare l’interesse di quei consumatori consapevoli di premiare una produzione garantita dalla qualità delle relazioni tra produttori, trasformatori, distributori e consumatori che collaborano indipendentemente dal Paese in cui si trovano. È in questo modo che i processi economici potranno diventare economia civile. E la democrazia potrà allargare le proprie basi nel mondo, permettendo a tutti di non volgere nostalgicamente lo sguardo all’indietro, ma di guardare al futuro con ragionevoli speranze.

 

 

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