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Ceccanti: “Bettini sbaglia, il futuro del Pd è draghizzare il centrosinistra”

Redazione mercoledì 22 Settembre 2021
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Intervista a Stefano Ceccanti a cura di Umberto De Giovannangeli (Il Riformista, 21 settembre 2021)

 

La guerra per bande dei Pm. Giustizia, diritti, Costituzione. E ancora: i nodi da sciogliere nel Pd e il futuro del Governo Draghi. Il Riformista ne discute con Stefano Ceccanti, costituzionalista, parlamentare dem, vicepresidente vicario dell’associazione di cultura politica “Libertà Eguale”.

Scrive Piero Sansonetti: “Ormai dentro la magistratura italiana, in particolare fra i Pm, è scoppiata la guerra civile. Si combatte con tutti i mezzi, anche con armi non convenzionali”. In sintesi: Piercamillo Davigo, che nei giorni scorsi aveva ricevuto attacchi feroci dal procuratore di Milano Francesco Greco, attacchi rilanciati da Repubblica e dal Corriere della Sera, reagisce attraverso il Fatto Quotidiano, con la pubblicazione di stralci degli interrogatori segreti del superteste Pietro Amara, l’avvocato che sostiene che esiste la Loggia Ungheria. “Ormai è guerra per bande tra i Pm”, annota il direttore de Il Riformista. E la politica che fa, sta a guardare?
Mi sembra che la politica si sia già mossa, almeno in parte. Il testo sulla giustizia civile è stato approvato alla Camera prima della pausa estiva e ora lo sarà al Senato. Al netto della complessità del testo, non deve sfuggire un punto chiave che segna una prima decisa inversione di tendenza rispetto ai primi anni di legislatura: anche il Parlamento potrà dare istruzioni ai pubblici ministeri sulle priorità dell’azione penale. In un colpo solo si affermano due principi giusti e tutt’altro che scontati, anche se fondati sulla Costituzione, sugli articoli 107 quarto comma e 111: che i pubblici ministeri non sono equiparabili ai giudici perché le garanzie di indipendenza dei primi sono relative e quelle dei secondi sono assolute (come voluto dai costituenti nel quarto comma dell’articolo 107, sulla base di un puntuale emendamento Grassi-Leone) e perché i giudici e solo loro sono terzi (come precisa la riscrittura dell’articolo 111 intervenuta a larga maggioranza nel 1999). La politica può e deve intervenire dove c’è discrezionalità, rompendo l’autoreferenzialità del giudiziario. Con l’attuale Governo la politica ha quindi ripreso una sua grande capacità di autonomia. Può fare di più, dato che come ha chiarito la Corte costituzionale, la materia della separazione delle carriere o comunque di una più netta separazione delle funzioni non richiedere revisioni costituzionali, è disponibile al legislatore ordinario, ma l’inversione di tendenza è in corso.

Uno Stato di diritto si regge sull’equilibrio tra i poteri. Non crede che la “correntizzazione” del Csm, ormai strumento in mano all’Anm, abbia alterato questo equilibrio?
È per questo che resta centrale la rottura del sistema proporzionale con collegio unico nazionale e connesso voto di preferenza per i componenti togati del Csm che è un sistema correntocratico e personalistico. Purtroppo il quesito radicale tocca solo alla presentazione dei candidati e non lo scalfisce. Va rilanciata la battaglia per il collegio uninominale come ho fatto ripresentando un testo all’inizio di questa legislatura ottenendo alcune decine di firme, oppure, in subordinata, per il voto singolo trasferibile come proposto dalla Commissione Luciani. Questo secondo è un sistema proporzionale, quindi meno incisivo nel mettere in discussioni le correnti, però valorizza comunque di più il ruolo del singolo.

Dai tribunali ai congressi. Nel Partito democratico sembrano essersi aperti i “giochi” congressuali. E uno dei temi più caldi riguarda il giudizio politico sul carattere del governo Draghi. Secondo Goffredo Bettini quello guidato dall’ex presidente della Bce “non è il governo del Pd ma è un governo di emergenza nazionale”. E per lei?
Facciamo un’ipotesi di scuola che quasi sicuramente non accadrà, ma che è utile per chiarire il quadro: mettiamo che Mario Draghi, arrivati al fatidico 2023, si dichiari disponibile a presentarsi agli elettori alla guida di una coalizione per tornare a Palazzo Chigi forte di un consenso popolare. In quel caso non sarebbe il Pd il primo ad aderire cercando di costruire intorno a Draghi una coalizione omogenea di centrosinistra in luogo di quella eterogenea attuale? E questo finirebbe con l’avvenire quasi naturalmente, dubito che la riserve come quelle di Bettini, che fanno leva in modo improprio sulla differenza tra Draghi e la maggioranza non ripetibile che lo sostiene, sarebbero diffuse. Perché accadrebbe questo, esattamente come è avvenuto il consenso sull’attuale Governo Draghi? Perché, con tutta evidenza, al di là della maggioranza necessitata di grande coalizione, gli elettori reali e potenziali nel Pd riconoscono in Mario Draghi quella comune ispirazione che è fatta di legame indissolubile con l’Europa (col cordone ombelicale con la Commissione garantito da Paolo Gentiloni), di attenzione alla qualità della spesa pubblica del Pnrr, di serietà nella gestione dell’emergenza senza cedimenti al populismo, e così via. Peraltro ha detto tutto il discorso di Draghi su Nino Andreatta, uno dei padri dell’Ulivo, nonché maestro politico anche di Enrico Letta. Se poi questo caso di scuola, come altamente probabile, non si verificherà (ma magari accadesse!) spetterà al Pd “draghizzare” la sua proposta politica complessiva con tutte le forze aggregabili. Di queste cose abbiamo discusso con un ampio confronto in tutto il centrosinistra ad Orvieto con l’associazione Libertà Eguale, a partire da una relazione di Enrico Morando, i cui contenuti sono riportati sul sito dell’Associazione. In questo caso più probabile dovrebbe spettare al partito più forte di quello schieramento, che è con tutta evidenza il Pd, proporsi di guidarlo. Anche perché, è bene capirlo, si potrà sperabilmente votare anche con un diverso sistema elettorale, ma non è credibile che esso, qualunque sia, deroghi al principio caro a Ruffilli per cui il cittadino debba essere arbitro anche della scelta di Governo.

In politica, si sa, il fattore tempo è un elemento decisivo. Nel Pd è scontro sui tempi del Congresso: prima o dopo le elezioni politiche. Cosa c’è dietro e lei come si pronuncia?
Andiamo alla politica e non alle questioni statutarie che sono una variabile dipendente. Il Pd ha avuto un congresso nel 2019 e ha poi avuto una delicata crisi interna, in relazione alla crisi del Governo Conte 2, che si è risolta grazie all’importante disponibilità di Enrico Letta. Letta si è impegnato a sostenere con coerenza il Governo Draghi ed ha avviato un percorso di rinnovamento interno che potrà portare, anche col coinvolgimento di esterni, a nuove proposte di policy. Tuttavia è evidente che occorrerà una forma di dibattito di rango congressuale perché queste scelte giuste convergano in una proposta di politics, in un chiaro indirizzo politico complessivo di Governo per la legislatura successiva, in una cornice di prosecuzione dell’esperienza Draghi. Poi le norme, le persone, i passaggi con gli alleati, si vedranno, ma è impossibile confezionare una proposta completa, sia su singole policies sia di orizzonte di politics, senza una discussione di rango congressuale dentro il primo partito del centrosinistra. Chi aspira alla guida deve investire di più sulla proposta di continuità e sviluppo dell’esperienza Draghi. Se l’articolo 49 ci dice che i cittadini si associano in partiti per determinare la politica nazionale sarebbe incomprensibile non trovare modalità opportune per farlo prima del voto. Ma su questo sono sicuro che passata l’emergenza, ossia il turno amministrativo e il Quirinale, pressoché tutti converranno. Anche perché ci aiuterà il voto tedesco, che ci sta mostrando quanto è mobile l’elettorato se riceve prima del voto proposte innovative. Peraltro, nello specifico, il messaggio di politics del candidato Scholz, è quello di una continuità dinamica con l’esperienza di Grande Coalizione dove era Vice-Cancelliere con una maggioranza diversa.

Altro tema caldo è l’obbligo del Green Pass. C’è chi evoca il diritto di scelta arrivando a scomodare la carta costituzionale..
Guardi, dove sta il più sta anche il meno. Se pressoché tutti condividono che il più (l’obbligo vaccinale) sarebbe costituzionale, figurarsi il meno (il green pass). Il punto è che non si capisce che senza misure di questo tipo le limitazioni di libertà sarebbero maggiori, non minori. I lockdown che ne deriverebbero bloccherebbero pressoché tutti. Chi critica parte invece dal punto di vista più limitato di coloro che sono limitati oggi e non da quello più ampio di chi potrebbe essere limitato domani. Si muove in un’ottica tolemaica e non copernicana.

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