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Crisi, ecco cosa può succedere dopo la scommessa di Renzi

Carlo Fusaro sabato 16 Gennaio 2021
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di Carlo Fusaro

Martedì ci togliamo la curiosità di scoprire se ha ragione Renzi nel ritenere che senza i suoi voti il governo Conte non ha i numeri per la fiducia (e quindi dovrà dimettersi) o se ha ragione Conte a ritenere di poter fare a meno dei 18 di Italia Viva (e quindi potrà continuare).
Ma ho la forte impressione che rischiano, a ben vedere, di essere nel torto entrambi.
Vediamo un po’. Non prima aver ricordato che Conte ha un vantaggio: non ha bisogno che la metà più uno dei deputati e dei senatori gli votino «sì» (i 161 e i 316). A lui basta che quelli che votano «sì» siano più di quelli che votano «no». Non è la stessa cosa, perché assenti ed astenuti riducono i «sì» che gli servono. Quindi “responsabili” e “costruttori” possono aiutarlo sia votando «sì» alla fiducia (1) sia astenendosi (2) sia assentandosi (3).

L’impopolarità di Renzi è alle stelle in queste ore, ed è molto probabile che dei due pokeristi quello con le carte meno brutte sia Conte, almeno a breve. Ma certe finte indignazioni contro l’ex presidente del consiglio e la sua ItaliaViva sono eccessive, prima di tutto perché il regime politico voluto dai cittadini (remember the referendum 2016?) incentiva proprio atteggiamenti come il suo e poi perché Conte ci ha messo molto del suo nell’indurre Renzi allo show down. Che si sia trattato di inesperienza o di precisa strategia non so dire (propendo per la seconda): Conte non ha fatto nulla, per mesi, per prendere in considerazione quanto gli chiedeva uno dei tre partiti che lo sostengono. Già nella conferenza stampa di fine anno fece capire bene che altro non aspettava che vedere le carte di Renzi e riservargli (proverà a farlo lunedì e soprattutto martedì) il trattamento usato con Salvini (sia pure in chiave minore).

Anche il PD di Zingaretti, poi, è complice del pasticcio. Sono mesi (da prima della pandemia) che si è come schiacciato su Conte conferendogli addirittura, in qualche dichiarazione, la patente di futuro leader comune dell’intesa strategica con il M5S; mentre al tempo stesso su alcune scelte (incluso il PNRR del NextGenEU) andava timidamente dicendo quello che ItaliaViva urlava un giorno sì e l’altro pure. L’impressione, evidenziata da molti commentatori, è stata che il Pd stesse indirettamente avallando l’iniziativa di Renzi. Una dichiarazione sibillina di Zingaretti sembra segnalare, ora, un tardivo risveglio. Anche perché Conte sembra muoversi verso la costruzione di proprie liste: una potenziale minaccia, formidabile, prima di tutto contro il Pd.

Consideriamo poi due aspetti del quadro: 400 dei 945 parlamentari attuali (più di quattro su dieci!) non hanno alcuna possibilità di essere rieletti. Perderanno il seggio: almeno 100 parlamentari di Forza Italia, 30 di ItaliaViva, quasi 200 del M5S e circa 50 delle forze minori e dei gruppi misti. Il Pd (se Conte non fa sue liste) dovrebbe fare pari e patta, la Lega ne potrebbe guadagnare 20. Solo Meloni arriverebbe a raddoppiare (+ 40) i suoi deputati e senatori.

Aggiungo che la legge elettorale di cui si parlava (voluta da Pd e M5S) è ferma. A me piace perfino meno di quella vigente, ma qui stiamo ragionando del contesto oggettivo. E possiamo ben capire perché pochi credono a uno scioglimento delle Camere prima del c.d. semestre bianco (scatta a fine luglio 2021, cioè fra sei mesi), quando lo scioglimento non è ammesso.
L’improbabilità dello scioglimento ha favorito questa sorta di sfida all’O.K. Corral.

Penso che Renzi, snobbato da Conte, abbia deciso che questa fosse l’ultima occasione per cercare di ridimensionarlo. Non l’ha fatto, come si legge, per ragioni caratteriali. Per ragioni politiche: di merito (programmi, PNRR, delega servizi), di giudizio sull’esperienza di governo (io penso che questo governo se la sia cavicchiata, considerata la sfida pandemica: ma che sia il governo per rilanciare l’Italia, lo credo poco; tutt’al più può salvare la baracca, il che – certo – è meglio di niente, ma non all’altezza di quel che uno desidererebbe), di prospettiva (il Conte leader di tutti gli europeisti antisovranisti che Zingaretti ha fatto balenare: pur dopo avere, Conte, governato con Salvini!) e – peggio – a breve (il Conte fondatore di un movimento in grado di togliere voti sia ai 5S sia al Pd e naturalmente a Italia Viva). Il tentativo era (e resta) di sostituirlo con qualcuno meglio in grado di governare l’ultima fase della pandemia e il rilancio: oltre che per riaffermare, Renzi, la propria centralità.

Scriveva ieri (venerdì) uno dei più seri filosofi della politica italiani, già Pci e poi Pds, due volte europarlamentare, Biagio De Giovanni che spesso, nella storia, vi sono stati casi di crisi in situazioni di piena emergenza (Cadorna sostituito da Diaz, Chamberlain sostituito da Churchill, che all’epoca era considerato una specie di Renzi, si parva licet).
Ha ragione e anche a me questo governo e questo presidente del Consiglio non paiono adeguati: ma il punto è, c’è un’alternativa?

Mosse come queste – proprio perché è politica – si giudicano solo in base al risultato. E se il risultato fosse che Conte continua, indebolito, ma personalmente rafforzato, il rischio è che nei contenuti il governo si orienti in direzione ancor più populista di quanto già non sia, e con ancora più ridotta capacità di raccogliere la sfida del NGEU e dei suoi 209 mld.
Se così fosse non saremmo di fronte a una mossa impopolare, ma di fronte a una mossa sbagliata. Forse Renzi non pensa che questa sia comunque solo una fase: e che un provvisorio successo di Conte porterà, comunque, fra un paio di mesi, in presenza di una maggioranza di sabbia, a scoppio ritardato, all’esito che lui auspica (via Conte). La partita resterà aperta in ogni caso.

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