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Dal referendum nuovo slancio alla cultura liberale

Andrea Danielli mercoledì 27 Aprile 2016
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Il referendum del 17 aprile scorso ha lasciato strascichi di polemiche e piccoli veleni, ha dimostrato una volta di più l’immaturità di una democrazia, quella italiana, retta da opinioni arrabbiate e poco inclini al confronto. La sconfitta dei promotori, abbastanza forte alla luce di una partecipazione del 32%, conferma che la scalata dei movimenti antipolitici e tutto fuorché inarrestabile. Un elettore su due del Movimento 5 Stelle non si è infatti recato a votare (vedi Termometropolitico sul referendum). Probabilmente gli ingranaggi per ingaggiare gli elettori non sono ancora sufficientemente rodati.

Nel campo dell’astensione, ha funzionato la polarizzazione cercata dal Presidente del Consiglio, seguito da un’ampia maggioranza di elettori Pd. Ma ha anche funzionato, ed è per me l’aspetto più interessante, un abbozzo di movimento razionalista, di ispirazione liberale, auto organizzato, capace di battersi contro strutture molto più preparate a orchestrare campagne d’opinione. Ed è di questa eredità referendaria che voglio discutere.

Ho apprezzato la voglia di dibattere sui social, di prendersi insulti e rispondere, di giocare duro, (perfino sporco), ribattendo anche sul coinvolgimento emotivo degli elettori. Segni di fiducia nei propri mezzi da non sottovalutare, un cambio di passo necessario per riprendere una battaglia culturale rovinata dalla finta appropriazione berlusconiana.

Siamo stati bravi a rispondere con registri diversi, evitando il consueto approccio tecnico e un po’ autoreferenziale, fedele ai contenuti e meno alla retorica.

Certo, è più facile oggi essere liberali a sinistra, sotto l’ombrello renziano. Al di là della confusione che genera mostri, come il refrain “è tutta colpa del neoliberismo”, qualcosa sta cambiando nella società italiana. Alcuni eccessi di assistenzialismo vengono finalmente presi di mira, gli scioperi “per sport” sono sempre meno accettati mentre a livello culturale la vera tolleranza sta prendendo piede, come si è visto in occasione dell’approvazione della legge sulle unioni civili. Forse per un peso fiscale eccessivo – soprattutto in tempo di crisi – anche l’anti-statalismo sta prendendo piede: i milioni di freelance non vedono di buon occhio uno Stato che chiede pagamenti puntuali senza tutelare alcun diritto, nemmeno, il basilare, di venir pagati dai propri clienti – o di ricorrere contro sanzioni tributarie ingiuste. Che dire dei giovani che scoprono che la pensione se la sono mangiata la cattiva spesa pubblica e i privilegi regalati a pioggia?

Ci sono le condizioni per costruire un contenitore unico dei liberali all’interno del Pd renziano? Non sta a me dirlo, ma ci farei un pensiero. Colmerebbe la difficoltà di Matteo Renzi di dare vita a una solida classe dirigente, a un think tank in grado di estendere la sfida del consenso sul piano culturale e non solo politico. Di certo, vedo molto probabile un coordinamento per nuove iniziative, per lanciare campagne di comunicazione e, perché no?, disegni di legge. E non è cosa da poco.

A partire dal prossimo referendum costituzionale, e dagli obiettivi di semplificare l’iter legislativo e aumentare la stabilità del Paese, si può ragionare su una piattaforma che vada oltre i legami personali tutto sommato occasionali.

Se cominciamo a funzionare, i campi di battaglia dove spostare le nostre legioni liberali sono sconfinati: ogm, libertà della scienza, eutanasia, legalizzazione delle droghe leggere, riequilibrio del sistema pensionistico, nuove misure pro-concorrenza, snellimento ed efficientamento della Pubblica amministrazione, accorpamento o chiusura delle utilities municipali.

La situazione macro-economica è deprimente, e il futuro fosco. Non basta l’enorme iniezione di liquidità delle banche centrali e non ci sono margini di manovre fiscali. Occorre ricavare lo spazio d’azione lottando contro sprechi ed errori di allocazione del passato. Le democrazie europee rischiano di farsi prendere dal panico e scivolare verso soluzioni populiste: o riusciamo a mettere in moto correnti di pensiero capaci di tenere insieme complessità e praticabilità, o ci dirigiamo rapidamente verso gli errori del passato.

 

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