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Il PD non è un partito identitario, ma plurale e a vocazione maggioritaria. Così sarà utile al paese

Filippo Barberis sabato 13 Marzo 2021
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di Filippo Barberis

 

Come siamo arrivati a questo punto?

Sono stati mesi difficili, segnati da scelte che ci hanno portato ad un ruolo di Governo certamente più marginale, diretta conseguenza di una crisi che non siamo riusciti a guidare. Scelte che non sono passate da guerre intestine, ma che sono state ampiamente sostenute all’interno del partito e tra le sue componenti organizzate (le famigerate “correnti”).

L’alleanza troppo subalterna ai 5stelle, l’arrocco su Conte, l’incapacità di trovare una maggioranza alternativa, l’arrivo a una soluzione imposta dal Presidente della Repubblica e infine l’assistere alla scelta dei 5stelle sulla leadership di Conte.

Tutti questi passaggi politici ci hanno indebolito nel Governo e nel rapporto con l’opinione pubblica. Questa è la ragione di fondo che spiega il recente inasprirsi del dibattito interno e le dimissioni del Segretario. La scelta di Zingaretti ci obbliga a confrontarci con queste criticità se vogliamo rilanciare in profondità il progetto del Partito Democratico.

Qual è la nostra funzione?

Il PD è nato come forza di progresso, positiva (non basta essere l’argine alle destre), con l’obiettivo di tenere insieme crescita, innovazione e inclusione (trinomio assai caro a noi democratici milanesi) promuovendo una piena integrazione politica europea e lavorando al servizio della dignità di ogni persona nella dimensione lavorativa, famigliare e sociale. Valori che devono guidarci nel fronteggiare le grandi rivoluzioni del nostro tempo, a partire da quella ambientale e digitale. Su questi temi centrali si confrontano più sensibilità all’interno del Partito Democratico, come del resto in ogni partito della sinistra di governo occidentale.

Noi non siamo un partito identitario, ma siamo un partito plurale e a vocazione maggioritaria. Nasciamo con l’ambizione di tenere insieme le migliori tradizioni riformiste del centrosinistra italiano perché senza questo sforzo di sintesi, come ampiamente si è dimostrato in passato, non è possibile dare stabilità e continuità ad un’azione di governo. Il pluralismo è nostro elemento identitario dunque, come lo è la vocazione maggioritaria da tradurre non in una percentuale, ma nell’atteggiamento di costante attenzione a parlare e convincere chi è fuori da noi, chi non ci vota, come una spinta a crescere nel consenso, anche in un contesto proporzionale. Non ci accontentiamo di testimoniare, di rappresentare, ma vogliamo essere forza di Governo.

Serve ritrovare questa spinta espansiva e per farlo occorre esprimere una sintesi delle nostre posizioni verso l’esterno. Ultimamente, invece, siamo stati spesso identificati più con posizioni tattiche interne alla dimensione politico-istituzionale che per la chiarezza dei messaggi rivolti al Paese.

Dobbiamo tornare a far sentire con forza la nostra voce sui problemi delle persone. Penso ai grandi temi del lavoro, della famiglia, dell’ambiente e della salute. E dobbiamo farlo con proposte semplici che ci identifichino e rafforzino con l’elettorato e nell’azione di governo. Questa è oggi per noi la sfida più grande e richiede uno sforzo da parte di tutta la classe dirigente.

Esempi? L’abbattimento delle tasse sul lavoro, in particolare per giovani e donne, che sono tra i soggetti più colpiti dalla pandemia. La semplificazione e l’impegno per sfruttare a pieno il Bonus energia, un potente volano non solo per l’ambiente, ma per l’occupazione. Un assegno unico per i figli a carico consistente e capace di coinvolgere anche la classe media, che vive una situazione di crescente precarietà. Una riorganizzazione della Sanità che potenzi i servizi territoriali e domiciliari (una delle lezioni più dure e chiare di questa pandemia).

Come organizzarci? Non dobbiamo mai dimenticarci che siamo il Partito italiano più radicato del Paese, con migliaia di iscritti e di amministratori locali in ogni provincia la cui esperienza e passione costituiscono un vivaio inestimabile verso il quale dovremmo sentire un’enorme responsabilità, soprattutto nei momenti più difficili.

A causa della pandemia e delle numerose scadenze elettorali, ancora non si è avviato un processo di rigenerazione del partito a livello locale, un processo che sta diventando sempre più urgente a partire dai territori dove siamo meno presenti e più in difficoltà. Formazione e selezione della classe dirigente sono alcune delle funzioni fondamentali che danno senso ad un partito politico, ad un partito-istituzione che non sia solo la somma dei propri eletti. Dobbiamo essere una fucina di leadership proprio a partire dai livelli locali, dove si costruisce una parte fondamentale della nostra credibilità.

E poi il grande tema della presenza nell’agorà più frequentata: internet e i social. Si è fatto ancora troppo poco, soprattutto in rapporto agli avversari, che hanno numeri nettamente superiori rispetto ai nostri. Servono ricerca e risorse per essere compatititivi su questa dimensione, che ormai è essenziale nella formazione dell’opinione pubblica. Serve il contributo di tutti.

Insomma il lavoro da fare è enorme, e possiamo farlo solo se sapremo ritrovare uno spirito unitario, una piena e sincera collaborazione tra le diverse anime del Partito.

La disponibilità di Enrico Letta è una buona notizia e garanzia di tenuta dello spirito originario che ha portato alla nascita del Partito. Sono sicuro che lavorerà per riconoscere e far sentire attivamente coinvolto tutto il partito, dagli iscritti ai dirigenti nazionali. Non basta però sostituire il segretario in attesa del prossimo congresso, serve generosità, serve un cambio di atteggiamento da parte di tutti affinché il partito si rialzi al più presto.

Se vogliamo incidere positivamente sul Governo Draghi e sulla crisi che dobbiamo fronteggiare serve trovare il tempo per prenderci cura di noi stessi, più di quanto abbiamo fatto fino ad ora. Soprattuto se pensiamo che rilanciare il Partito Democratico sia utile al Paese, all’idea di interesse collettivo che ci spinge a impegnarci in politica.

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