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L’antidoto all’ignoranza? Imparare per tutta la vita

Marco Campione domenica 2 Settembre 2018
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di Marco Campione

 

 

Leggo finalmente molte analisi che partono dalla denuncia di una vera emergenza fino ad oggi per lo più sottovalutata se non ignorata nel dibattito mainstream.

 

L’analfabetismo funzionale è un’emergenza 

Questa emergenza si chiama analfabetismo funzionale: un adulto su tre (un ultra 55enne su due!) non è in grado di comprendere un testo scritto molto semplice, uno su due non passerebbe l’esame che facciamo agli stranieri per richiedere la cittadinanza italiana.

Di solito si dice genericamente che è “colpa” del sistema di istruzione, che è questo il suo principale fallimento.

E così è.

Ma attenzione! Fallimento del sistema di istruzione non necessariamente significa fallimento della scuola tradizionalmente intesa. La rivoluzione necessaria parte sì da scuola (a cominciare da una revisione di quelli che chiamiamo saperi e competenze di base), ma attiene soprattutto a quello che gli addetti ai lavori chiamano lifelong learning (un articolo per Mondoperaio di Maggio 2018, del quale sono coautore, rende l’idea della complessità del problema).

Partiamo da un presupposto con ogni probabilità largamente condiviso: la centralità dell’istruzione per la crescita economica, sociale e civile del Paese e la centralità del ruolo dello Stato nella messa a punto degli strumenti per garantirla. Come recita la Carta fondamentale: “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

 

La velocità dei cambiamenti

Il sistema educativo deve fornire a tutti competenze e strumenti per agire nella realtà -sociale, economica e politica- nella quale viviamo e che è venuta trasformandosi profondamente nell’ultimo quarto di secolo. Accanto alle opportunità, non vanno però sottovalutati i rischi e i pericoli che emergono e che impongono un rapporto informato con le innovazioni e un uso delle stesse orientato alla valorizzazione dei cittadini.

I cambiamenti sempre più veloci che si susseguono in tutti i campi ci impongono di finalizzare in modo più puntuale gli investimenti per la formazione lungo tutto l’arco della vita e per le politiche attive, impedendone un uso improprio dovuto ad una impropria identificazione di questi strumenti con gli ammortizzatori sociali. Il lifelong learning acquista valore anche rispetto a temi sociali (quali la riduzione delle disuguaglianze) e di crescita civile (quali la responsabile consapevolezza di nuovi diritti e l’impegno nella costruzione degli strumenti per farli riconoscere), ma, soprattutto, è la via maestra per rafforzare la qualificazione dei cittadini che da una riorganizzazione del sistema educativo nel suo complesso possono aspettarsi di essere finalmente messi in condizione di avere opportunità e strumenti permanenti.

 

Imparare per tutto il corso della vita

Non è più sostenibile un sistema basato su una separazione netta tra una fase della vita nella quale si accumula il sapere necessario per le fasi successive e altre fasi nelle quali, al massimo, lo si aggiorna. L’obiettivo, con buona pace di chi ha coltivato il mito del pezzo di carta come lasciapassare per la “sistemazione”, è quello di una “sistemazione”, che dovrà essere flessibile, polifunzionale e basata su processi che hanno come elemento fondante il rapporto con il lavoro. In questo processo formativo la didattica va ripensata guardando al come gli studenti apprendono e al come si insegna più e prima che al cosa. E anche la durata del percorso di studi può essere ridotta nella prospettiva di un uso del lifelong learning per lo sviluppo delle competenze e la valorizzazione delle attitudini e delle capacità.

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