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Libertà Eguale: sì all’agenda Draghi e al bipolarismo

Claudia Fusani martedì 14 Settembre 2021
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di Claudia Fusani*

Tre settimane che decideranno molto. Non solo gli amministratori di oltre mille comuni tra cui le più grandi città italiane come Roma, Milano, Bologna e Torino. Ma anche il destino del segretario del Pd Enrico Letta. Ha voluto concludere in modo “rassicurante” – poi vedremo come e perchè – la Festa nazionale dell’Unità a Bologna. E ieri, in mattinata introducendo la Direzione nazionale del partito e poi, nel pomeriggio, presentando a Roma il libro “Razza poltrona” di Fabrizio Roncone insieme con Giorgia Meloni, Letta è stato ancora più esplicito: “Remiamo tutti nella stessa direzione, cerchiamo di usare linguaggi, obiettivi e parole che ci consentano di evitare nelle prossime settimane malintesi o discorsi con elementi di frizione: serve determinazione, in una logica di unità”. Un appello esplicito a mettere da parte, almeno fino al 4 ottobre, retroscena, spifferi, parole sbagliate, sospetti e regolamenti di conti tra le correnti interne del Pd.  Spera in un “gioco di squadra”, Letta, visto che “abbiamo fatto le migliori scelte e siamo competitivi ovunque”.  Per poi  avvertire: “Siamo alle prove generali rispetto allo schema politico che ci aspetterà dopo il voto.

Ma i mal di pancia restano

Ma tutto questo non è sufficiente per risolvere e silenziare i mal di pancia interni dopo giorni in cui, dietro il grande dibattito su vaccini e green pass, è successo un po’ di tutto. Polemiche di cui il segretario avrebbe fatto volentieri a meno, dall’endorsement di Michele Emiliano al candidato sindaco di Nardò vicino a Casa Pound e allo stesso Salvini al dibattito continuato a latente sul congresso; dalle uscite di Goffredo Bettini sul voto anticipato una volta mandato Draghi al Quirinale alle critiche per il corteggiamento al M5s ai sospetti di un’ora di Giuseppe Conte sullo stesso elettorato Pd. E poi c’è stata Bologna, con Base riformista che alle primarie ha votato il candidato di Iv, venendo poi esclusa dalle liste in favore della Sardine. Il coordinatore degli ex renziani Alessandro Alfieri ieri ha rassicurato: nessuno sgambetto, “ora è il momento della compattezza”. Rinviando al post voto eventuali scossoni. Specie per l’esito romano, dove si gioca il grosso della partita.

Sul palco della Festa

Chiudendo la Festa nazionale dell’Unità domenica sera Letta si è mostrato perentorio e senza ambiguità su identità, alleanze e agenda del Pd.  Conte, ad esempio, non lo hai nominato in 40 minuti di intervento.  Ha diviso il campo a metà – “un centrosinistra europeista, progressista e democratico  e la destra, la destra estrema sovranista e ambigua sui vaccini perchè questo è diventato il centrodestra di Salvini e Meloni” – mettendo il Pd al centro, “perno e motore” di questa metà campo. Della serie che l’alleanza con i 5 Stelle va anche bene ma sia chiaro che sono loro che vanno al Pd e non viceversa. Ha voluto sottolineare che il Pd è il partito dei lavoratori ma anche delle imprese e ha risposto, dal pulpito più alto, alla sirene di Goffredo Bettini: l’agenda Draghi è l’agenda del Pd.

Ma aver ribadito e sottolineato questi punti non è bastato per convincere gli scettici della linea Letta, quelli che pensano che “il Pd non può più tenere insieme Irene Tinagli e Beppe Provenzano”, i due vicepresidenti  scelti da Letta, l’accademica di formazione liberal e il ricercatore comunista. Che quella con i 5 Stelle sia solo un pezzo di strada da poter fare insieme, senza contratti. E occhio a Conte che non gli venisse in mente di tentare un’opa sull’elettorato Pd. Quelli, infine, che si chiedono che fine ha fatto il riformismo che doveva essere la cifra e il motore del Pd.

In prima fila a Bologna domenica sera sedevano uno accanto all’altro Orlando, Franceschini e Bonaccini, il governatore padre di casa oltre che rappresentante della corrente Base Riformista il cui leader era invece assente. Tutti hanno applaudito. Ma i rumori di fondo sono continuati.

La manina di Franceschini 

Gli scettici hanno commentato che in realtà della serata hanno colpito due cose: ad esempio “la freddezza del pubblico rispetto a Zingaretti la sera prima e l’insistenza su ius soli e ddl Zan”. Il resto – il posizionamento del Pd come perno di un centrosinistra europeista e progressista – sarebbe stato declinato in una logica elettorale, sia per le suppletive (i sondaggi stanno premiando Letta nel collegio di Siena) che per le amministrative, soprattutto a Roma.

Gira in queste ore – sempre ad esempio – un retroscena che ha come protagonista Dario Franceschini, indicato una volta di più come kingmaker di un ennesimo ribaltamento di equilibri in vista del congresso.

Nei giorni scorsi Base riformista ha provato a sondare il terreno del congresso, dopo un voto giudicato “un po’ ambiguo” dell’assemblea del partito. L’articolo 8 ritoccato dall’organo assembleare  infatti recita che il  congresso viene convocato 6 mesi prima della scadenza del segretario, ovvero a settembre del 2022, che vorrebbe dire prima delle elezioni. Sempre che non si vada al voto anticipato, ipotesi che Letta ha voluto escludere in modo categorico mettendo così a tacere Bettini e non solo lui.

A stretto giro di posta però, in quelle ore, è arrivato il chiarimento del Nazareno: sei mesi prima va comunicata la data, quindi il congresso vero e proprio si terrà dopo le elezioni.

Le due variabili

Una cosa è certa: non è questo il momento di parlare di congresso chiamando in causa i regolamenti. Se ne riparlerà dopo il voto. In base soprattutto ai risultati. Ma non solo.  Almeno due le “variabili”  che i bene informati indicano come determinanti.  La prima porta il nome  di colui che ha determinato tutti i cambiamenti dem, ovvero Dario Franceschini.

Proprio colui che ha richiamato Letta da Parigi, è stato “pugnalato” dal segretario che oltre ad aver rimosso i due capigruppo Marcucci e Delrio, nel silenzio generale ha cambiato anche il capo delegazione dem al governo, sostituendo appunto Franceschini con Andrea Orlando.

Da allora il ministro della Cultura non hai mai più messo il becco nelle faccende interne del partito. Ma chi lo conosce sa che il silenzio per Franceschini nasconde spesso grandi manovre.. Pleonastico ricordare che i voti di Franceschini in assemblea nazionale possono determinare qualsiasi maggioranza. La seconda variabile porta a Bologna, nel palazzo della Regione Emilia Romagna. Se il presidente della Regione Stefano Bonaccini all’inizio del nuovo anno, cominciasse o continuasse a scalpitare, vorrebbe dire che sarebbe arrivato qualche impercettibile segnale dal dirimpettaio di Ferrara (Franceschini).

L’interesse di Renzi e Calenda

Ad osservare la partita con un certo interesse, anche Matteo Renzi e Carlo Calenda. Con Bonaccini che vince le primarie e si insedia al Nazareno, tutto il film sulle alleanze infatti cambierebbe e non a favore di Giuseppe Conte, che a quel punto sarebbe costretto ad accettare l’allargamento dell’alleanza ad IV e ad Azione (attivo al momento solo nel collegio di Siena). E’ anche chiaro che

Letta si vorrebbe giocare tutte le carte con le elezioni, plasmando con i suoi uomini i gruppi parlamentari e tagliando fuori le correnti. Infatti, nonostante i discreti sondaggi sulle amministrative, nessuno nel Pd pensa di vincere le elezioni politiche in accoppiata con il fu avvocato del popolo e contro la coalizione del centrodestra dove tutti si odiano ma tutti sapranno marciare uniti per vincere le elezioni e prendere finalmente il potere. L’arrivo di Bonaccini, insomma, potrebbe essere solo posticipato. E questo Letta lo ha fin troppo chiaro. Da qui molte ambiguità ed altrettante insinuazioni.

Lo schema di Libertà Eguale 

Non sono solo Base Riformista e i Dem di Franceschini ad avere le antenne alzate circa agenda, identità ed alleanze della segreteria Letta. Nel fine settimana si è tenuta anche l’assemblea di “Libertà Eguale” il think tank di Enrico Morando che del riformismo ha sempre fatto la ragion d’essere della nascita del partito Democratico. Nella sua relazione Morando ha indicato due possibili linee di frattura rispetto alla linea del Nazareno: Draghi Sì/ Draghi No; bipolarismo sì/no. Ha posizionato la sua persona e il “suo” gruppo senza-se-e-senza-ma nella casella Draghi e in uno scenario bipolare. Molti interventi hanno dato per persa la scommessa del Pd casa di tutti i riformisti. I giovani Turchi flaggano la casella Draghi (anche se vorrebbero la patrimoniale) ma dicono No al bipolarismo. Poi c’è Bettini che ipoteca il governo Draghi e dice Sì al bipolarismo dove la metà del campo sarebbe occupata dal polo della sinistra, Pd-M5s-Leu.

Letta galleggia fino al 4 ottobre. Poi si vedrà   

Il fatto è che un po’ tutte le correnti vedono un segretario ancora in fase di galleggiamento.  Letta è stato netto sul ritorno al  bipolarismo dopo la fase dei tre poli iniziata nel 2013. E però anche più ambiguo su Draghi: ha detto che deve stare fino al 2023, che il Pd sta con le imprese e i lavoratori ma poi continua a strizzare l’occhio alle Sardine, ha difeso la linea Orlando  ed è stato molto indentitario sul tema diritti (Ius soli e ddl Zan). Che andrebbe anche bene se il Pd avesse i voti per farlo.

Insomma, il segretario ha un problema urgente che sono le amministrative. Alla fase successiva, le politiche e il congresso, ci penserà dopo. In qualunque momento dovesse arrivare. Sull’elezione del Capo dello Stato ieri si è notata invece una singolare novità. “Sono favorevole perchè la discussione sul nome del nuovo Capo dello Stato veda l’opposizione coinvolta – ha aperto Letta – Sono favorevole a un coinvolgimento di Fdi, a un voto che metta tutti insieme”. E anche Giorgia ha detto Sì.

* Tratto da Tiscali News: https://notizie.tiscali.it/politica/articoli/Letta-non-compatta-le-correnti-del-Pd/

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