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Lo stato ebraico preso fra due fuochi

Pasquale Pasquino giovedì 13 Maggio 2021
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di Pasquale Pasquino

 

Gli scontri e le violenze fra ebrei e palestinesi in Israele e nei Territori occupati di questi giorni fanno riflettere sulle difficoltà di fronte alle quali si trova lo stato ebraico. Il vecchio conflitto con la popolazione palestinese dei territori ed il movimento estremista di Hamas in questi giorni è esploso al seguito degli scontri fra la polizia israeliana e le manifestazioni religiose dei mussulmani alla moschea di Al-Aqsa nel cuore di Gerusalemme. La reazione di Hamas con un lancio di 200 razzi sul territorio israeliano, inattesa, non si è però fatta attendere, creando panico nella popolazione ebraica e, come accade sempre, una reazione estrema da parte dell’esercito israeliano.

La relativa calma dell’ultimo periodo nascondeva un fuoco sotto la cenere. In questo caso gli scontri fra israeliani ebrei ed israeliani arabi nell’antichissima città di Lod alle porte di Tel Aviv rappresentano il fatto più inquietante, poiché i cittadini israeliani di origine palestinese sono in genere relativamente ben integrati e piuttosto pacifici. Inquietante anche perché una parte dei partiti arabi sembrano ormai disponibili ad una alleanza con tutte le forze politiche ostili a Netanyahu e cercano in tal modo di evitare il rischio assurdo di una quinta elezione, dopo le quattro che si sono svolte negli ultimi due anni alla ricerca vana della formazione di una maggioranza nella Knesset.

Come è noto il paese è paralizzato nell’impossibilità di trovare un governo che dia la maggioranza al primo ministro ancora in carica, ma anche una contro di lui. Una parte dei partiti arabi, fino ad oggi esclusi da ogni possibile maggioranza di governo, sembrano disponibili e forse considerati accettabili partner dalle forze politiche ebraiche per creare un governo che escluda finalmente Netanyahu – ora sotto processo per corruzione – dal suo lungo e poco felice controllo della vita politica israeliana.

Gli scontri in atto sembrano far saltare l’ipotesi di tale potenziale alleanza mantenendo in conseguenza la politica del paese in una condizione di marasma.

Ma Israele non è minacciato solo dal conflitto che sembra irrisolvibile con i palestinesi divisi, loro, fra Gaza e la Cisgiordania, fra Hamas e Abbas, il quale rifiuta di organizzare le elezioni dei suoi per timore di perdere la posizione di capo della rappresentanza palestinese. Lo stato di Israele però è ormai più drammaticamente minato da un conflitto interno alla maggioranza ebraica dei suoi cittadini.

Lo scontro culturale fra la parte secolare del paese e gli ortodossi, almeno quelli più radicali, si fa infatti sempre più duro e ostile. Gli ebrei secolari non tollerano più i privilegi che gli ortodossi radicali godono per quanto riguarda il servizio militare obbligatorio e ancora più per l’assistenzialismo che lo stato elargisce ad una popolazione che si rifiuta spesso di lavorare in virtù dei suoi pretesi obblighi religiosi. Una parte della società ebraica moderna, attiva e spesso bilingue con l’inglese si scontra con una cultura tradizionalista ostile alle donne ed in molti sensi agli stessi valori della democrazia liberale. Con la inquietante prospettiva che questa parte retrograda della società possa diventare un giorno una maggioranza assoluta, cosa certamente verosimile, se si tiene conto della straordinaria fertilità demografica delle famiglie ortodosse, per opposizione a quelle secolari.

Il sogno di Ben Gurion e dei fondatori di Israele di uno stato secolare e progressista sembra infrangersi preso fra i due fuochi del conflitto con i palestinesi, che si è fatto imputridire sperando che scomparisse magicamente, ed il certamente più grave conflitto interno, che vede crescere l’ostilità fra le due vecchie anime della comunità ebraica divisa nel suo seno dal ruolo della religione.

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