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Migranti: oltre il cuore, la testa

Gabriel Echeverria lunedì 2 Maggio 2016
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Spesso, nel dibattito pubblico e in quello politico, il tema migratorio viene affrontato come se si trattasse di una scelta che è possibile fare: immigrazione si, immigrazione no. Tuttavia, i dati che emergono dalla ricerca e la realtà che osserviamo quotidianamente ci mostrano il carattere inesatto di tale impostazione. L’immigrazione è un fenomeno consolidato e in continua espansione; la società globale sarà caratterizzata sempre di più dal movimento e dalla mescolanza delle genti. Questo esito non dipende dalla volontà politica di qualcuno o dal desiderio di invaderci dei popoli stranieri. Molto più semplicemente è il risultato dell’incontro di esigenze complementari, l’incessante domanda di lavoratori da parte delle vetuste società europee e la ricerca di opportunità di vita migliore da parte di persone provenienti da zone del mondo in conflitto o economicamente svantaggiate.

La strutturazione del dibattito sull’immigrazione nei termini illustrati, come se si trattasse di un interruttore che si può accendere o spegnere, non è soltanto irrealistica ma ha un effetto evasivo. Mentre ci si affanna a discutere sull’opportunità o meno dell’immigrazione, il fenomeno avanza incontrollato e i temi veramente cruciali sono sistematicamente elusi. Invece che discutere su come fermare l’immigrazione si dovrebbe discutere su come governarla per minimizzare i problemi e mettere a frutto le opportunità. A distorcere ulteriormente le percezioni ha concorso, negli ultimi anni, lo scoppio della crisi dei rifugiati: la questione migratoria ha cominciato ad essere trattata come se si trattasse di un’emergenza passeggera legata alle guerre piuttosto che un processo sociale di lungo periodo.

Le responsabilità rispetto all’inadeguatezza del dibattito possono essere imputate tanto alle forze politiche di destra come di sinistra. Le prime, cavalcando in modo opportunista e irresponsabile i timori e le difficoltà della gente di fronte ai cambiamenti in atto, non hanno esitato ad esasperare i toni, a costruire falsi miti (invasione, migranti=criminali, perdita di lavoro per i nazionali), ad offrire soluzioni irrealizzabili. Le seconde, evitando di esporsi in un tema particolarmente sensibile per il suo elettorato, si sono spesso limitate ad un generico buonismo, evitando di affrontare il tema in modo serio. La politica del “entrino tutti”, “nessun problema”, “la cosa si gestisce da sola”, a cui poi, emersi i primi problemi, è seguita un’affannosa rincorsa delle politiche della destra, è riuscita nel difficile compito di scontentare tutti. I più impauriti hanno trovato più confortanti le campane del populismo xenofobo; i più esigenti si sono sentiti presi in giro.

La sottovalutazione del fenomeno migratorio, però, come ben insegna la storia, alla fine, presenta il conto. Emarginazione sociale, conflitti interetnici, lo stesso terrorismo hanno radici nella cattiva gestione dei processi d’inclusione, nel laissez-faire. Fare tesoro del cammino percorso da altri e porre sul tavolo in modo urgente le questioni da affrontare è oggi un compito imprescindibile. Per chi, poi, ha a cuore una certa idea di Europa, quella della libera circolazione, della convivenza fra diversi, dell’apertura verso l’altro è arrivato il momento di usare la testa oltre che il cuore. Il governo delle migrazioni ha bisogno di politiche lungimiranti, d’investimenti duraturi, di scelte difficili. Chi crede che bastino i buoni sentimenti o i proclami generosi, vedi la Merkel, sbaglia e sbagliando rafforza il discorso delle destre.

La recente proposta avanzata dal governo italiano presieduto da Renzi, il “migration compact”, rappresenta dunque un fondamentale cambio di rotta per la sinistra europea, la volontà di passare dalle parole ai fatti. Il documento ha il pregio di porre quella migratoria come una questione europea, alla pari di quella economico-finanziaria. S’illude oggi chi crede che dietro alle vecchie frontiere potrà trovare rifugio, ma s’illude ugualmente chi crede che basti invocare lo spirito di Schengen per salvare la situazione. Solo una politica comune equa nella condivisione degli oneri che sia realista e coraggiosa può offrire le risposte che le nostre società attendono. La proposta italiana, pur essendo solo un punto di partenza, affronta in modo lucido alcune questioni fondamentali. La prima è quella del controllo dei flussi. Se si vuole allentare la pressione migratoria, visto che l’obiettivo di annullarla non solo è impossibile ma non avrebbe senso, è necessario coinvolgere i paesi di provenienza nella gestione delle partenze e sostenere progetti di cooperazione allo sviluppo molto più consistenti. La seconda riguarda la creazione di canali d’immigrazione legale efficaci che siano commisurati alla reale domanda di lavoratori presente nelle società europee. Un modo per guardare oltre l’emergenza rifugiati e assumere la domanda di migranti economici come una necessità vitale e di lungo periodo per il continente. La terza riguarda la questione del finanziamento di queste politiche. I costi della gestione migratoria sono ingenti ma, se intesi correttamente e condivisi con i soci europei, possono essere considerati dei veri e propri investimenti.

La partita politica sulle migrazioni è oggi rilevante per il futuro dell’Europa quanto quella sul rilancio economico e la flessibilità fiscale. L’avanzata dei populismi anti-immigrazione in molti stati europei, ultimo caso quello dell’Austria, mostra l’urgenza della questione. I cittadini sono preoccupati e diventano sempre più sensibili al discorso delle destre. Per le sinistre il tempo della testa sotto la sabbia è scaduto, la sfida migratoria va affrontata con responsabilità in tutta la sua complessità. Il richiamo ai principi, la creazione di “coalizione argine” per evitare l’arrivo al potere di forze xenofobe non possono bastare a lungo, c’è bisogno di misure concrete che siano alla altezza dei problemi sul tavolo. Il “migration compact”, da questo punto di vista, rappresenta un importante passo avanti che deve essere integrato con proposte altrettanto lungimiranti a livello nazionale sul tema del mercato del lavoro e dell’integrazione. Un’alternativa alla chiusura è certamente possibile, l’Europa delle frontiere è e deve rimanere nel nostro passato.

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