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Vigilanza: qualcosa si muove a Francoforte

Giuseppe De Lucia Lumeno sabato 23 Giugno 2018
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di Giuseppe De Lucia Lumeno

 

Qualcosa si sta muovendo a Francoforte verso un profilo di vigilanza più equilibrato che tenga conto di modelli di intermediazione diversi. Meglio tardi che mai verrebbe da dire.

 

I rischi per la stabilità del sistema bancario

È di questi giorni infatti la notizia che, finalmente, anche la Banca Centrale Europea sembra essersi accorta del pericolo e dei rischi che i titoli illiquidi di livello 2 e 3 (comprendenti quindi anche i derivati) detenuti dalle banche europee, soprattutto tedesche e francesi, possono rappresentare per la stabilità del sistema bancario nel suo complesso e per questo motivo ha avviato una serie di ispezioni sui principali istituti europei che hanno in bilancio tali tipologie di titoli.

Una presa di posizione prudenziale, questa, che non può che essere salutata con favore, se si pensa all’attenzione per certi versi esacerbante che la vigilanza aveva finora prestato unicamente nei confronti degli Npl, che rappresentano il rischio tipico di un modello di intermediazione di tipo tradizionale, penalizzando, quindi, ancor di più quegli istituti, come nel caso italiano, il cui modello operativo si caratterizza prevalentemente per la classica intermediazione creditizia finalizzata al sostegno delle attività produttive e dell’economia reale.

 

Le conseguenze per le banche

Questa novità riveste chiaramente conseguenze importanti per le banche che dovessero risultare maggiormente esposte a tali tipologie di titoli. Innanzitutto, è molto probabile che qualora la valutazione dei rischi da parte di questi istituti sia stata sottodimensionata, inevitabilmente sarà richiesto a loro di procedere ad un aumento di capitale al fine di adeguare e allineare i propri ratios patrimoniali, così come già chiesto alle banche italiane nel caso degli Npl, presenti nei bilanci proprio per effetto sia della grande crisi sia di quella operatività più mirata al sostegno dell’economia reale portata avanti durante la recessione.

Inoltre, questo nuovo approccio dovrebbe facilitare un migliore level playing field, o perlomeno di una condizione di mercato che si approssimi maggiormente ad esso, all’interno dell’Unione Bancaria europea, favorendo la concorrenza tra i diversi modelli di intermediari finanziari che operano nell’area euro, evitando così le distorsioni che si erano venute a creare e senza privilegiarne uno a scapito degli altri. Finora, infatti, alcune di queste banche, grazie ad una supervisione, per così dire, più accomodante erano riuscite, grazie alla disponibilità di profitti determinati da attività finanziarie rischiose, ad acquisire quote via via crescenti di altri istituti limitati nelle loro disponibilità, a parità di altre condizioni, proprio per i maggiori vincoli a cui erano soggette da parte della vigilanza per la loro attività più focalizzata verso imprese e famiglie.

 

Più spazio per le banche cooperative

Questo cambiamento, si spera netto da parte degli organi di vigilanza europei, non solo fa giustizia di molti luoghi comuni di cui il mainstream in ambito finanziario da sempre è il portavoce ripetendoli costantemente come un mantra, come quelli che esiste un unico modello a cui tendere o che solo le banche di dimensioni maggiori e non radicate nel territorio e con una governance basata sulla società per azioni siano le più efficienti e le più solide, ma va oltre.

Permette finalmente di promuovere con ancora più forza la presenza di banche diverse all’interno del sistema bancario, cooperative o società per azioni, come riconosciuto in altri paesi ma spesso ignorato nel nostro e, inoltre, permette proprio alle banche italiane, che differentemente dagli istituti del Nord Europa si sono mantenute distanti dai titoli di livello 2 e 3, di poter finalmente operare in un contesto più neutrale e con maggiori chance di crescita nei confronti di altre realtà bancarie che per effetto di questa rinnovata attenzione sui derivati saranno oggetto di una valutazione più attenta e prudente.

 

Le specificità dei singoli paesi

Un orientamento, quello di valutare i rischi all’interno di un quadro più ampio di strumenti e più aderente alla realtà, rafforzato anche dalle recenti prese di posizione della BCE sugli Npl che sembrano aprire alla possibilità di tenere conto delle specificità dei singoli paesi venendo così incontro alle loro esigenze.

Purtroppo numerosi danni sono già stati fatti dalle scelte a senso unico fatte in passato dalle autorità di controllo, che hanno provocato distorsioni nel mercato finanziario difficilmente sanabili con effetti perversi. Si pensi, ad esempio, alla certificazione rilasciata per questi istituti dalle società di rating, per le quali la presenza di titoli derivati in bilancio non sembrava fino ad oggi essere un pericolo così rilevante per la stabilità del sistema, condizionando la propria analisi esclusivamente all’andamento del ROE a sua volta influenzato verso l’alto da un’attività sempre più speculativa, in un circolo vizioso che, al contrario, ha rischiato di amplificare l’instabilità.

Molto spesso si dice che la costruzione di un Europa più unita passi proprio dal riconoscimento delle specificità che ogni singolo stato ed economia ha avuto modo di sviluppare al suo interno e dalla valorizzazione di queste differenze, evitando miopi politiche di omologazione e di forzata trasformazione il cui unico effetto sarebbe di avvantaggiare alcuni e di svantaggiare altri. Forse, questa revisione delle linee guida della Vigilanza della BCE può essere davvero un primo passo concreto nella ricerca verso una unione reale e meno da laboratorio.

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