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Sotto la Mole non è tutta colpa di Chiara Appendino

Davide Ricca martedì 16 Luglio 2019
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di Davide Ricca

 

Una “Nuova Alleanza” per una “Nuova Torino”

 

Appare a molti incredibile che della città che si era messa in mostra con tutto il mondo durante le Olimpiadi invernali del 2006, oggi non rimangano che poche tracce. L’orgoglio italico e sabaudo rappresentato dalla Ferrari che sgommava dentro allo Stadio Olimpico durante la Cerimonia di apertura dei XX Giochi Olimpici sembra aver lasciato il posto alla rassegnazione. Oggi più che mai, dopo l’annuncio che il Salone dell’Auto abbandonerà Torino per traslocare a Milano dall’anno prossimo e la crisi che si aperta nella maggioranza pentastellata in Sala Rossa, Torino sembra sempre più piccola ed è sempre più isolata. La Città che ha dato i natali alla più grande azienda manifatturiera della storia italiana sembra smarrita e persa, destinata ad un declino irreversibile.

 

Un centrosinistra senza strategia

L’errore più grande sarebbe quello di raccontare la favoletta che “è tutta colpa di Chiara Appendino”. Classificare le difficoltà che vive questa città nel credere in se stessa, nell’immaginare il proprio futuro, nell’inventare e consolidare nuove vocazioni post-industriali come se esse fossero semplicemente la diretta conseguenza del malgoverno a 5 Stelle sarebbe, da parte del centrosinistra, oltre che auto-assolutorio, disastroso dal punto di vista strategico. Solo partendo dall’onestà di chi riconosce che è da almeno due lustri che il capoluogo piemontese non vede tracciare un piano strategico per il suo futuro, si potrà, con umiltà, avanzare una proposta di governo per la città che abbia le caratteristiche di una nuova costituente per Torino.

 

Quelli che hanno vissuto di rendita

Se pezzi importanti della società civile e del mondo produttivo di questa città hanno sostenuto, tre anni or sono, Chiara Appendino nella sua scalata a Palazzo Civico ci sarà pure un motivo.

Non smetteremo mai di ringraziare la capacità visionaria delle Giunte Castellani, che hanno consentito a Torino di scoprire la sua grande vocazione internazionale, sviluppandone la capacità di attrarre turismo e di ri-costruire se stessa sulla dorsale innovazione-cultura; eppure è proprio da allora che la città e i suoi amministratori si sono “seduti”, provando a vivere di rendita. Certo, l’eredità olimpica ha consentito di farlo, ma i nodi rappresentanti dalle domande inascoltate di sicurezza, di integrazione, di lavoro che sono esplosi negli ultimi anni sono l’epifania di una pigrizia programmatica che ha colpito le forze democratiche e progressiste.

Una città che risulta oggi spaccata geograficamente su due assi: quello Nord/Sud e quello centro/periferia; una città che va ascoltata e che va difesa dalla sua paura di non farcela. Una città che ogni anno (siamo al sesto consecutivo) perde abitanti: i residenti, che ormai sono poco più di 870.000 (nel 1971 Torino contava quasi 1 milione e 200 mila abitanti) fanno fatica a reggere il carico fiscale di un territorio che ogni giorno, tra lavoratori e studenti, deve offrire servizi a più di 1 milione di persone.

 

Una Torino diversa da quella che sa dire solo No

I confini politici e culturali dai quali partire per chiedere ai torinesi di avere fiducia in un progetto alternativo non possono essere gli stessi che videro la coalizione di centrosinistra perdere nel 2016. Aprirsi ai mondi che sostennero Chiara Appendino, coinvolgendo tutti coloro che sono ancora convinti che a Torino si possa fare impresa, senza tralasciare la priorità della domanda di sicurezza, a cui oggi è necessario rispondere con fermezza e sincerità.

Sono certo che in Sala Rossa e nelle Circoscrizioni, forse anche all’interno della stessa Giunta comunale, ci sono molte persone, anche tra coloro che sostengono la Sindaca, che vogliono immaginare una Torino diversa da quella che sa dire solo No. Una Torino che si dimostri capace di “uscire dal labirinto”, come dice il diciannovesimo Rapporto Rota.

I mondi che sostennero Chiara Appendino e le persone insoddisfatte dalla sua gestione della Città ora devono battere un colpo e il centrosinistra, se loro lo faranno, deve dimostrarsi coinvolgente e progettuale, accantonando definitivamente l’esperienza Fassino e rendendosi disponibile a costruire il progetto di una Torino nuova.

 

La Torino del sì

La Torino “del sì” più che “dei sì”. Non di certo dei sì a prescindere, bensì di quel sì che contraddistingue una città capace di accogliere il futuro e l’innovazione con entusiasmo. Torino è nata per inventare. Non può rassegnarsi al declino in cui versa. Torino deve diventare la partner, la socia migliore che possa esistere per chi decide di intraprendere ed investire sul suo territorio, per aiutare “diversi comparti del terziario torinese a uscire definitivamente dal rapporto di dipendenza dalla manifattura … che ormai, nettamente ridimensionata, ha perso buona parte della capacità propulsiva” (Centro Einaudi, Servizi: uscire dal labirinto – Diciannovesimo Rapporto Giorgio Rota su Torino, 2018, Conclusioni, p. 219).

Avendo inoltre il coraggio di uscire dalla logica da “cinta daziaria”, immaginando, anche dimensionalmente, una “nuova Torino” che sappia raggiungere almeno i confini della prima cintura, pena il declino del capoluogo e di tutti i comuni confinanti.

Il tempo per fare tutto questo è adesso.

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1 Commenti

  1. Iole mercoledì 17 Luglio 2019

    Non sono iscritta al PD ma seguo bene le sue vicende locali. Alla due i consiglieri sono passati ai moderati, in pratica la circoscrizione e vedova di questi amministratori che si sono autoesclusi dal partito. Anche durante le elezioni vi sono state due fazioni distinte e separate. Correnti si dicono. E la prima volta che mi avvicino ad un grande partito ma devo dire che c’è da rabbrividire

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