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Alle radici dell’impegno di David Sassoli

Stefano Ceccanti mercoledì 12 Gennaio 2022
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di Stefano Ceccanti

 

Alle radici dell’impegno di David Sassoli
La Lega Democratica: grande fucina di umanità e di politica

 

Posso personalmente dare testimonianza solo di una limitata esperienza politica che ho avuto in comune con David Sassoli, quella della Lega Democratica. Limitata, ma di quelle che lasciano un imprinting fortissimo sui fondamentali del nostro modo di essere e di rapportarci agli altri, più di quanto ci si possa rendere conto in modo chiaro sul momento. Anche per questo le brevi note che seguono sono più una ricostruzione di quell’esperienza che non di singole specificità di David Sassoli o del suo contributo peculiare.

Nel 1974 i cattolici che avevano votato No referendum in nome di un ruolo non invasivo della legge dello Stato appartenevano grosso modo, con alcune semplificazioni a due filoni: un primo, più radicale, che si collocava nei partiti di sinistra e che era più sensibile ai temi del cosiddetto dissenso ecclesiale; un secondo, più moderato, che era di matrice montiniana e morotea, che aveva un dissenso specifico solo sul modo di articolare il giudizio sullo strumento referendario e sul rapporto tra legge e coscienza. Da questo secondo filone prese origine l’esperienza della Lega Democratica e della rivista “Appunti di cultura e di politica”. Una realtà ben descritta in un saggio di dieci anni fa di Lorenzo Biondi e che meriterebbe di essere ripubblicato e riletto.

L’associazione aveva due leader più adulti, peraltro piuttosto diversi tra di loro: lo storico Pietro Scoppola, grande studioso di De Gasperi, e il sociologo Achille Ardigò, discepolo di Dossetti. Aveva però anche un leader più giovane, il giornalista Paolo Giuntella, il quale possedeva grandi doti di educatore, sapeva trarre il meglio dalla diversità dei suoi interlocutori. Tra le persone più vicine a Giuntella spiccava appunto David Sassoli con il quale animava il circolo romano. Però, al di là delle individualità, valeva soprattutto l’imprinting collettivo, l’abitudine ad avere simultaneamente una comune ispirazione ben riconoscibile, ma anche una vocazione al dibattito, con spregiudicatezza sui punti di caduta concreti. Tra le caratteristiche dell’ispirazione comune vi era quella che aveva pesato nel casus belli del 1974, al di là come ciascuno avesse votato: una visione molto libera del rapporto tra coscienza e legge. Scoppola, sulla scia del motto dei cattolici liberali “cattolici col papa, liberali con lo Statuto”, invitava sempre ad essere rigorosi con se stessi, ma proprio perché ciascuno sa quanto è difficile esercitare il rigore su di sé, sosteneva che occorresse essere altrettanto tolleranti con gli altri, specie con gli strumenti coercitivi del diritto.

Un approccio radicalmente diverso rispetto a quella che sarebbe stata poi per qualche decennio la retorica e la pratica dei cosiddetti principi non negoziabili. Quindi vi era nell’impostazione di fondo un rapporto molto libero con lo strumento partito e con gli strumenti in genere.

Per quanto il referente naturale fossero le correnti progressiste della Dc, il partito non era considerato elemento identitario e neanche quelle componenti, ma erano valutati solo strumento contingente: l’identità era la tradizione cattolico democratica, non il partito e neanche quella sua parte più vicina e l’ambizione era comunque quella di un dialogo ravvicinato con le componenti riformiste delle altre aree politico-culturali, rispetto alle quali la diversità dei contenitori politici era vista più come un retaggio del passato che non come un confine invalicabile.

Non era quindi scontato volta per volta né l’orientamento di voto dei singoli, né la posizione su singole questioni delicate e su cui vi era piena libertà di dibattito: ad esempio sugli euromissili, con Scoppola favorevole e Ardigò e Giuntella contrari). Proprio perché si aveva coscienza dei fini che si perseguivano era necessario agire con spregiudicatezza sui mezzi, non dando per scontato che quelli adottati sino ad allora fossero indiscutibili, dentro un cammino comunitario, in cui la specificità di ciascuno non sfociava in narcisismo.

Con lo scioglimento della Lega Democratica nel 1987 la componente giovanile sopravvisse col nome e l’esperienza autonoma della “Rosa Bianca”, rinnovandosi ma mantenendo Giuntella e Sassoli come alcuni dei propri più importanti punti riferimento. Poste queste premesse, non c’è da stupirsi se molta parte della componente cattolico democratica che con percorsi diversi è stata protagonista della nascita del Pd, da Giorgio Tonini sino a Enrico Letta, sia passata per l’esperienza della Lega Democratica.

Infine una postilla: proprio nella vicenda dell’introduzione del voto a distanza per far funzionare nella pandemia il Parlamento europeo, l’ultima occasione in cui mi è capitato di confrontarmi, si sono visti come pesassero alcuni di quei fondamentali. La soluzione per perseguire un europeismo efficace chiedeva di far passare regole nuove, vincendo i diffusi e ostinati conservatorismi, il pregiudizio di chi scambia le finalità con gli strumenti del passato. David ci è riuscito, ma anche perché quella sua ispirazione veniva da lontano, da un’esperienza diffusa e comunitaria.

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