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Bergamo, dal silenzio una sofferenza profonda

Alberto Colombelli venerdì 17 Aprile 2020
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di Alberto Colombelli

 

“Credo che s’impari a parlare bene solo quando si ha rinunciato alla vita per un certo tempo. È il prezzo. Parlare è quasi una resurrezione in rapporto alla vita. Quando si parla c’è un’altra vita, rispetto a quando non si parla. Allora, per vivere parlando uno deve essere passato dalla morte del vivere senza parlare. C’è una specie di ascesi che impedisce di parlare bene finchè si guarda la vita con distacco. Con distacco. Noi oscilliamo, perciò passiamo dal silenzio alla parola. Oscilliamo tra le due cose perchè è il movimento della vita. Dalla vita quotidiana uno si eleva a una vita…chiamiamola superiore. È la vita col pensiero. Però questa vita presuppone che si abbia ucciso la vita quotidiana, la vita troppo elementare.”

(lo sconosciuto, dal Capitolo 11. Place du Chatelet de “Vivre sa vie”, film di Jean-Luc Godard, 1962)

 

Ho passato più di un mese nel silenzio, senza la forza di pubblicare nulla. Perché non c’era nemmeno lo spirito di sviluppare pensieri. Troppo provato dal quotidiano. Tutt’intorno troppo più grande di me, di noi. Fortunatamente ho avuto molti amici che anche da lontano facevano sentire la loro vicinanza. Che dimostravano che i rapporti costruiti nel tempo hanno valore, prezioso valore. Che ringrazio profondamente. Da loro delle continue domande su quello che stava accadendo da noi, domande a cui non avevo risposte, non le trovavo, non ero nemmeno in grado di cercarle.

La Pasqua ha aiutato a trovare uno spazio almeno spiritualmente più grande, e non è poco. Aprendo uno spiraglio al silenzio, che mi ha spinto a condividere una riflessione su quello che so. Che è quello che sento.

Quello che so è che qui c’è un intera comunità e un intero territorio che stanno pagando pesantemente. Qui non si tratta solo di stare a casa e pensare che andrà tutto bene. Qui è già andato tutto male e la gente lo sa benissimo, perché lo sente dentro di sé e lo vede attorno a sé. Una nota sindacale indica che nelle case di riposo della Lombardia sono morte 1.800 persone, di queste 1.100 in Provincia di Bergamo su meno di 6.000 ospiti delle nostre RSA. Capite di cosa stiamo parlando, di quali numeri? È una strage. Continua. 

Di cui si continua a gestire l’emergenza e di cui non è ancora stata definita una strategia per affrontarla in un orizzonte che vada davvero oltre lo stretto quotidiano. Perché i provvedimenti che vengono adottati centralmente sono indistinti su territori che hanno dimensioni dell’emergenza molto diverse. Moltissimo diverse. Non piace fare paragoni ma, giusto per rendersene conto, il drammatico terremoto de L’Aquila registrò 309 vittime. E fu sicuramente una tragedia.

L’Eco di Bergamo ha riportato che in Provincia di Bergamo nel solo mese di marzo 2020 sono morte 5.400 persone contro meno di 1.000 nel marzo 2019. Viviamo nel terrore, uno su tre di noi è contaminato. Lo rivela una ricerca di InTwig che proietta in oltre 305 mila i contagiati in Provincia di Bergamo su una popolazione complessiva di poco più di un milione di abitanti.

Sappiamo perché da tempo, c’è un ampia produzione di notizie verificate a riguardo, stiamo reagendo alla sciagura in ogni modo, con ogni mezzo. Ma siamo provati, nel corpo, nel cuore e nell’anima. E non vediamo la capacità e forse nemmeno la sensibilità di leggere davvero la nostra situazione, nel distinguerla dalle altre, per darci una speranza di non essere davvero stati sacrificati.

La nostra forza, la nostra speranza, si è aggrappata finora alla straordinaria collaborazione e all’impegno comune che si sono riusciti a creare tra le tante persone, associazioni, organizzazioni e strutture di buona volontà che hanno cercato di offrire tutto quanto le loro possibilità offrivano.

In una prospettiva che ci spinge a dirci tra noi che ciascuno è davvero chiamato questa volta a provare a fare la sua parte dando decisamente più di sempre, davvero il meglio di sé in ogni proprio ambito. Serve da ognuno di noi un impegno nelle specifiche attività in cui ha maggiori competenze che vada decisamente oltre quella che è la propria più alta responsabilità professionale, fino a vederlo fino in fondo come il più importante personale contributo ad una missione collettiva, alla più importante missione collettiva della nostra intera esperienza di vita, quella che può salvare un’intera collettività. 

E a questo è chiamato chiunque di noi, indipendentemente dal proprio ruolo e dalla propria funzione nell’ambito della società. Con una sola specifica necessaria esigenza, che lo si possa fare nella massima sicurezza per sé e per gli altri. Ce lo dicono, ce lo chiedono, le parole e la diretta testimonianza di chi finora più di altri ha cercato e dimostrato di offrire il proprio prezioso contributo al di fuori dell’intima sofferenza e dell’intimo dolore vissuto in tante nostre famiglie, che nella paura e nell’isolamento collettivo si è esteso anche a tutte le altre. Sono le parole della Sig.ra Valeria Leone, moglie del Dott. Vincenzo Leone, medico di base di Urgnano e Zanica, che ci ha lasciati nel dolore il 22 marzo scorso:

“Mio marito ha lavorato fino all’ultimo istante istante potrei dire e fino a quando le forze lo hanno sostenuto. Fino a venerdì mattina, il 13 marzo, lui ha lavorato, filtrando ovviamente le visite, filtrando i pazienti con appuntamenti. Per quanto riguarda le protezioni lasciamo perdere. Io vorrei sapere come mai proprio qui a Bergamo è successo tutto questo. Come mai i medici di base, gli ospedalieri, tutta la Sanità insomma, tutti gli operatori sanitari, siano stati tutti messi così in difficoltà, mandati allo sbaraglio senza nessun accorgimento, nessuna protezione. Vedo titoli, ‘Eroi, eroi’. Ma quali eroi, ma quali eroi. Qui non si tratta di eroismo, qui si tratta di gente che come Enzo, appunto mio marito, ha fatto il suo lavoro intendendolo come una missione e nessuno si è preso cura di medici, di operatori sanitari in genere, mettendoli nella condizione di proteggersi e di proteggere. Però è ovvio che prima o poi si dovrà venire a capo delle responsabilità enormi, secondo me, che ci sono.” (BergamoTv, 9 aprile 2020)

Sono le parole di Rainiero Rizzini, responsabile operativo della Soreu delle Alpi, azienda regionale di emergenza che comprende la Centrale 118 di Bergamo:

“Siamo pronti a tutto. Non eravamo pronti a questa catastrofe. Qui non si contano gli operatori che fino a pochi giorni fa si prendevano una pausa solo per piangere. Intorno al 21 marzo la situazione si fece insostenibile. I casi erano tantissimi. Le ambulanze in coda fuori dagli ospedali. Fosse stato un terremoto avremmo più coscienza di quello che abbiamo affrontato. Invece è un’epidemia. E ora dobbiamo iniziare a dirci le cose come stanno: i numeri dicono che è una vera catastrofe. In questo mese abbiamo ricevuto tanta comprensione. ‘Guardi che l’ambulanza purtroppo arriva tra due ore’, ci è toccato dire. E la risposta era solo un semplice ‘Grazie’. La gente bergamasca è stata incredibile. Ogni giorno riceviamo pasti pronti, materiale fondamentale per la sanificazione da parte delle aziende. Quasi tutti da donatori anonimi. Con un biglietto e un grazie. È una delle cose che ci ha fatto andare avanti a testa bassa. Se continuassimo tutti così anche in tempo di pace saremmo una comunità incredibile. Lo spero.” (L’Eco di Bergamo, 10 aprile 2020)

Sono le parole di Giorgio Gori, Sindaco di Bergamo:

“L’immagine dei mezzi militari che escono dal nostro cimitero è stata e continua ad essere più grande di me. E per quanto io faccia insomma oggi giorno del mio meglio credo di non essere probabilmente all’altezza di quello che i miei concittadini sentono, sia in termini organizzativi sia in termini di condivisione empatica di quello che ciascuno di loro ha provato in queste settimane. Quando snoccioliamo queste cifre non ci rendiamo forse conto che ogni persona, ogni numero, corrisponde ad un lutto in una famiglia e gli altri sono coloro che magari non sono morti ma sono nella preoccupazione di loro familiari perché ancora sono malati, hanno la febbre alta oppure sono in ospedale. Ed è terribile”. (Nove, 9 aprile 2020)

Sono e saranno le parole di coloro tra noi che si sentiranno di provare a rompere quel silenzio che ci accompagna in questi lunghi giorni, per troppo tempo scandito solo dalle sirene delle ambulanze e dal suono di campane a lutto che annunciavano l’ennesimo dramma.

Di fronte a tutto questo una lettera firmata da tutti i 243 Sindaci della Provincia di Bergamo alla vigilia di Pasqua è stata indirizzata alle più Alte Cariche dello Stato, Protezione Civile, Regione, Provincia, Prefetto, Anci e Ats. Le richieste sono più protezioni e misure speciali per cittadini e Comuni di fronte a questo dramma infinito.

Quello che va oltre le richieste di quella lettera, assolutamente necessaria, è quanto resta intimamente nel nostro animo. Che ci ha cambiati dentro. Profondamente. Per sempre.

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