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di Enrico Borghi

 

Ho appena ricevuto una comunicazione dalla Presidenza della Camera che martedì prossimo, alle ore 17.30, ci sarà una importante informativa del Presidente del Consiglio sulle iniziative del governo per fronteggiare l’emergenza CoVid.

E contemporaneamente, nella mia qualità di segretario delegato d’aula, la Presidenza della Camera si premura di farci sapere che potranno accedere in aula -per partecipare a questo significativo momento di vita parlamentare- solo 1/6 dei membri di ciascun gruppo. Avendo il Pd 90 deputati, dovremo indicare quali sono i 15 che potranno accedere all’Aula.

Così non va! Abbiamo già espresso, a più riprese, la nostra opinione circa il fatto che impedire fisicamente a deputati che costituzionalmente rappresentano la Nazione senza vincolo di mandato di poter accedere all’aula poteva avvenire attraverso un “gentlement agreement” tra le forze politiche e per circostanze sulle quali le forze politiche avessero di fatto già convenuto i contenuti delle decisioni (come è avvenuto per il voto dello scostamento di bilancio o per il decreto Olimpiadi).

Ora, però, si stanno approssimando discussioni (e decisioni) sulle quali -del tutto legittimamente- le forze politiche hanno e avranno opinioni differenti, e il Parlamento non può -neppure per un istante- essere intaccato nel suo plenum e soprattutto nel diritto inalienabile di ciascun singolo parlamentare di poter partecipare ai lavori . Avevamo già posto per le vie brevi questo tema, indicando anche delle soluzioni alternative, ma vediamo che si intende proseguire nella strada tetragona del conservatorismo burocratico che però ora sta superando il confine.

Il Parlamento non può riunirsi per finta. Il voto di ogni singolo parlamentare, in aula e in commissione, deve essere garantito e non si possono stabilire limitazioni nel numero dei partecipanti alle commissioni (come accaduto questa settimana e come da me denunciato in aula martedì sotto la presidenza dell’onorevole Carfagna) nè tantomeno introdotte novazioni come il voto riservato al singoli capigruppo.

In tutto il mondo che possiede un ordinamento liberal-democratico i Parlamenti si stanno organizzando per convivere con il Coronavirus.
In Svizzera è stata disposta una sessione straordinaria del Consiglio nazionale e del Consiglio degli Stati dal 4 fino al massimo all’8 maggio 2020 che si terrà nel complesso fieristico di “Bernexpo”. Quindi fuori dalla tradizionale sede di Berna, in un luogo fisico in cui tutti potranno esserci con il rispetto delle distanze.

La patria del parlamentarismo, Westminster, dalla settimana prossima inizia a lavorare a distanza, con la Camera dei Comuni che ha deliberato lo scorso 16 aprile di introdurre lo Smart-working per contemperare rappresentanza e sicurezza sanitaria. Il luogo per eccellenza della secolare Tradizione parlamentare non ha avuto paura di innovare. La stessa cosa è stata disposta per il Parlamento europeo. E potrei continuare con gli esempi.

Noi invece in Italia abbiamo scelto di trasformarci nel museo delle cere, e di comprimere oltre ogni limite l’espressione della centralità e delle prerogative parlamentari.

No, presidente Fico. Ci aspettavamo dalla supposta ventata di innovazione che Ella avrebbe dovuto rappresentare ben altro coraggio. Però questa pantomima di selezionare i parlamentari in ingresso, impedire le discussioni e le votazioni in aula, limitare gli ordini del giorno a una conciliazione col governo per cui vengono accolti solo quelli che non disturbano il manovratore e sfilare in silenzio davanti alla presidenza solo per dire “si” o “no” impedendo di fatto a ogni parlamentare di dire la sua deve finire.

Perché la Costituzione non è stata nel frattempo cambiata, e per fronteggiare la più grave emergenza sanitaria della Storia repubblicana il potere deve risiedere nel luogo della rappresentanza popolare, non in qualche misterioso luogo dove ottimati, task-force e scienziati vari discutono senza essere politicamente responsabili.

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