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I «liberal» del Pd: intestarsi l’agenda Draghi

Emilia Patta mercoledì 15 Settembre 2021
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di Emilia Patta*

 

«Serve determinazione, in una logica di unità». Mancano solo tre settimane al voto nelle grandi città e nei grandi comuni ed Enrico Letta, che nelle urne si gioca tutto anche perché è candidato alle suppletive nel collegio Arezzo-Siena, non può che richiamare tutte le truppe dem all’unità. Ma il modo di condurre la campagna elettorale del segretario del Pd nonché le sue ultime uscite politiche, a cominciare dalla proposta di una patrimoniale per finanziare una “dote” per i diciottenni, ha suscitato molti malumori nella minoranza del partito che si rifà a Base riformista di Lorenzo Guerini e Luca Lotti.

 

Base riformista alla finestra: bisogna intestarsi l’agenda Draghi

Minoranza per ora cheta ma pronta a scendere sul campo della battaglia congressuale, magari con la leadership del governatore dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini, se le comunali dovessero andare male a cominciare dalla Capitale. Intanto tra la platea dei dirigenti dem accorsa domenica scorsa a Bologna ad ascoltare le conclusioni di Letta Guerini non c’era, e l’assenza si è notata molto anche perché nelle stesse ore il ministro della Difesa lanciava il suo messaggio politico in un’intervista a un quotidiano: «Il Pd deve intestarsi l’agenda Draghi, deve farla sua».

 

Occhi puntati su Letta e sull’asse con il M5s di Conte

Come a dire che finora non lo ha fatto. Perché se è chiaro che anche per Letta l’agenda rifomista di Draghi va difesa, la contesa politica inscenata con la Lega in vista del voto nelle città lo ha portato nelle ultime settimane a rinsaldare l’asse con il M5s (Giuseppe Conte è stato accolto alla festa dell’Unità di Bologna a due giorni dalla chiusura di Letta) e al rilancio di alcuni temi tanto identitari quanto divisivi per la larga maggioranza draghiana come lo ius soli e il Ddl Zan sull’omotransfobia. Cui prodest? si chiedono in molti nel Pd.

 

La sfida dei «liberal»: Draghi sia il nostro candidato premier nel 2023

E non è un caso che nello stesso week end in cui si chiudeva a Bologna il rito della Festa dell’Unità i “liberal” democratici, e non solo, si ritrovavano a Orvieto all’assemblea annuale della associazione LibertàEguale di Enrico Morando, Stefano Ceccanti e del compianto Emanuele Macaluso. Nella sua relazione introduttiva Morando ha rivendicato con forza, sia pure in uno schema politico che resta fedele all’obiettivo del bipolarismo, «l’esperienza altamente positiva dell’attuale governo» suggerendo «al Pd e ai partiti minori del centro-sinistra un consapevole sforzo di convincere quella maggioranza di italiani che valuta positivamente l’esperienza Draghi e desidererebbero che essa proseguisse che l’unico partito/schieramento in grado di impegnarsi in modo esplicito e credibile per garantire loro il conseguimento di questo obiettivo è il Pd/centrosinistra». E Claudia Mancina nelle sue conclusioni va ancora oltre e si chiede perché non si debba formare un raggruppamento politico attorno a Draghi per andare alle prossime elezioni con lui candidato premier.

 

E a Orvieto sfila la diaspora riformista: verso un nuovo partito?

Intanto a Orvieto di pentastellati non se ne sono visti, ma hanno preso la parola tra gli altri il leader radicale Benedetto Della Vedova, i renziani Luigi Marattin ed Elena Bonetti, l’ex forzista Fabrizio Cicchitto, il leader sindacale vicino a Carlo Calenda Marco Bentivogli. Volti della “diaspora rifomista”, insomma, che nei prossimi mesi potrebbero ritrovarsi in una casa comune. «Ma noi non abbiamo intenzione di fondare un partito, per il momento», puntualizza Mancina. Per ora. Prima bisogna vedere gli effetti delle comunali. E dopo questa tornata si tornerà al voto nella primavera del ‘22 in altre città: da Palermo a Padova, dall’Aquila a Genova, da Lucca a Verona.

 

*Il Sole 24 Ore, 14 settembre 2021

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