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Le città dopo Covid-19: basta pianificazioni di lungo periodo

Francesco Gastaldi giovedì 30 Aprile 2020
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di Francesco Gastaldi

La pianificazione di medio periodo, è fallita miseramente in questa pandemia. L’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è più previsioni, cosa possiamo sapere oggi del futuro dopo la destabilizzazione che abbiamo vissuto?

La crisi del Covid-19 è solo l’ultima crisi che avrà influssi rilevanti sulla vita e il destino di città, territori, nazioni. Già la crisi economica che si è sviluppata a partire dal 2007-08 aveva evidenziato un gap sempre più evidente fra ruolo degli strumenti di pianificazione e previsione e dinamiche reali che poi si sono verificate.

Ora tutti aspettano che si torni alla “normalità”.

Ma si potrà tornare al mondo che abbiamo conosciuto? Come reagiranno i vari territori? Si allargheranno disuguaglianze? Alcune aree sapranno reagire meglio di altre, gli ambiti marginali ne usciranno ancora più deboli? Quali nuovi equilibri geopolitici internazionali? L’Unione europea e altre istituzioni sovranazionali dovranno cambiare radicalmente per non perire, in quali direzioni andare?

Le crisi riarticolano assetti gerarchici e geo-politici, provocano decadenza di polarità, generano fenomeni indeterminati, hanno effetti e interdipendenze imprevedibili.

Le crisi evidenziano molte nostre incapacità nel pre-configurare il futuro, anche a breve periodo e perfino il carattere scarsamente razionale di operazioni di questo tipo che in breve periodo appaiono vecchie e superate.

Il carattere proprio di un’operazione di pianificazione consiste nel voler determinare i comportamenti futuri di una pluralità di soggetti, ma le crisi evidenziano una inadeguatezza delle conoscenze utilizzate per la definizione di molte politiche, perfino quelle di intervento emergenziali.

La realtà è sempre più complessa di quanto vorremmo, le variabili in gioco in un mondo globale e sempre più interconnesso aumentano anziché diminuire.

In termini generali questa problematica tende a coincidere con quella del ruolo, del senso e della legittimità di un intervento pubblico eccessivamente rigido e di modelli programmatori anche di medio periodo che in tempi di cambiamenti sempre più veloci generano cattive performance e attese irragionevoli, perverse e spesso troppo alte.

Ci sentiamo sempre più impotenti, ma è difficile prenderne atto, prevale una sopravvalutazione della capacità delle politiche pubbliche di produrre risultati conformi a determinate attese, salvo poi verificare che questo non accade. Il credito di cui alcuni tipi di pianificazione godono, a dispetto dei risultati, sono forse correlabili ad una sopravvalutazione della capacità di guidare cambiamenti sociali ed economici.

Inoltre, nei periodi emergenziali affinché creatività, innovazione e risposte efficaci si sviluppino c’è bisogno di un sistema semplice di regole di base, così da poter favorire forme di sperimentazione da parte della realtà socio-economica, un sistema di pianificazione può precludere opportunità.

La capacità delle istituzioni di adattarsi alle crisi e a situazioni concrete non previste e di inventare soluzioni adatte alle particolari forme che alcuni problemi possono assumere, si scontra con l’inadeguatezza di un sistema eccessivamente rigido, burocratico e vincolistico.

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