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L’esperimento populista? Male, ma potrebbe finire peggio

Mauro Zampini mercoledì 6 Maggio 2020
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di Mauro Zampini

 

Comunque vada a finire, sarà stato un esperimento senza precedenti. Che potrà essere materia di studio, nel breve tempo, per politologi, sociologi, studiosi di istituzioni: fingere che governare un Paese, comprese le sue articolazioni, sia cosa di poco conto, e affidare il compito a persone di pochi o niente studi, di poca o nessuna precedente esperienza di lavoro, se non si considerano tali incarichi quali lo strappare i biglietti per un evento, o proprio nulla. E, nel tempo più lungo, materia di riflessione per gli elettori, e chissà, per i partiti che proporranno agli elettori la materia prima da cui trarre i propri rappresentanti.

L’ispirazione per l’esperimento è venuta da una personalità nota per un lavoro difficile, sì, ma del tutto estraneo alla gestione di qualche stabilimento, di qualche responsabilità. Quello di far ridere gli italiani. Ed è stata raccolta da milioni di italiani, nella loro veste più delicata e ufficiale, quella di elettori, di popolo sovrano. Quella attraverso la quale si scelgono i rappresentanti del popolo, i parlamentari; e tra questi i futuri ministri e il loro esponente principale. «Proviamo anche questi», era il pensiero più ricorrente, nella strada da casa alle urne. Provarli per cosa? Per governare. Da due anni abbondanti li stiamo provando, per vedere come se la cavano a governare. Non bastasse, scelto un primo schema di governo, che metteva in campo i teorici dell’inesperienza e dell’incompetenza e quelli della incoerenza (da «la Padania non è Italia» al patriottismo più ottuso) e del disinteresse istituzionale, gli si è messo a capo un uomo di buoni studi, ma accuratamente digiuno di qualsiasi incarico di strategia e di gestione.

Ogni italiano che abbia la fortuna di possedere qualche bene immobile, sa sulla propria esperienza quanti problemi possa creare la scelta di un amministratore di condominio improvvisato. Quel «proviamo anche questi», era riferito non al proprio condominio, bensì all’insieme di tutti i beni degli italiani, materiali e immateriali, di proprietà pubblica o privata; nonché alle regole da dare al proprio Paese e ai suoi 60 milioni di italiani. Ai rapporti internazionali del Paese. Lo si è fatto sapendo che quel desiderio di novità coincideva con un periodo storico tra i più complicati possibili, una crisi socioeconomica di dimensioni globali. O forse proprio per quello.

Il primo esperimento è andato come è andato, come sappiamo noi italiani, tra invenzioni cervellotiche quali i “navigator”, navigatori naufragati prima di mettere piede in acqua; anticipazioni dell’età di fine lavoro fino a decenni vari prima delle speranze di vita, ricerca di prede incolpevoli dello stato del Paese tra i rappresentanti degli italiani dei precedenti decenni.

Mentre è in atto il secondo esperimento, che ha portato al governo, affiancandoli ai teorici dell’inesperienza assoluta, i ministri di un partito tradizionale, che per non sfigurare ha scelto in prevalenza ministri del tutto nuovi alla bisogna. Ora, l’esperimento italiano si è arricchito di una variabile inopinata e, quel che è peggio, inopinabile: la pandemia. Inutile aggiungere qualcosa.

Oggi, ogni italiano può provare a immaginare se stesso nel compito di affrontare una siffatta stratificazione di problemi, ed è auspicabile che lo faccia. Solo così, in un futuro che ci dovrà pur essere, sarà possibile che non si vogliano tentare nuovi esperimenti.

Un’ultima considerazione: c’è la possibilità, ancora, di aggiungere un nuovo tassello di inesperienza e analfabetismo istituzionale nel momento di scegliere l’unico incarico fin qui spericolatamente affidato con il metodo tradizionale della ricerca di esperienza e competenza, quello del capo dello Stato, tra meno di due anni. Toccherà ai rappresentanti del popolo, che potrebbero avere l’uzzolo di prolungare l’esperimento, portandolo alle estreme conseguenze. Così, per vedere l’effetto che fa.

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