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Milei è un unicum argentino, la minaccia viene da Trump

Marco Leonardi venerdì 12 Gennaio 2024
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di Marco Leonardi

 

Il premio Nobel per l’economia dello sviluppo Simon Kutznets nel 1971 lo aveva già detto: esistono paesi sviluppati, paesi in via di sviluppo, il Giappone e l’Argentina. L’Argentina è un paese unico, molto difficile da inquadrare in una categoria sia in economia che in politica. Sarà per questo che nessuno riesce a inquadrare il neopresidente Milei. L’Argentina ha avuto due grandi episodi di iperinflazione nel corso degli anni 70 e 80 e due tentativi falliti di stabilizzazione del cambio (la sostituzione della moneta con l’Austral e poi la parità peso-dollaro) al termine dei quali la svalutazione del 2001 ha spazzato via i risparmi della classe media causando profonde recessioni.

L’economia è esposta alle fluttuazioni dei prezzi delle materie prime e di quelle agricole, soprattutto della soia di cui la Cina è il maggior compratore dagli anni 2000 e del petrolio e del litio, anche questo largamente scambiato con i cinesi. La storia politica è altrettanto unica a iniziare da Juan Perón, che era amico di Franco (da cui fu ospite in esilio per 18 anni), ammiratore di Hitler e Mussolini ma contemporaneamente fondatore del partito dei lavoratori e dei sindacati, con lui l’Argentina ospitò la maggiore immigrazione di tedeschi che fuggivano dai nazisti prima della guerra e poi quella dei nazisti che fuggivano dopo la guerra. Peronista era il presidente Menem che negli anni 90 si affidò ai liberisti della scuola di Chicago, come peronisti sono i Kirchner che si sono affidati ai russi e ai cinesi. L’Argentina ha avuto 6 colpi di stato nel 20esimo secolo, l’ultimo tragico dei militari antiperonisti e anticomunisti dal 1976 al 1983 fece 30mila desaparecidos.

In tutto questo, Milei ha vinto in pochi mesi senza un partito (un po’ come Zelensky in Ucraina) con l’aiuto dei social e del voto dei giovani. Si è poi alleato con quella larga constituency che fa riferimento agli Stati Uniti e all’ex sindaco di Buenos Aires ed ex presidente Macrì cui fanno riferimento gran parte dei ministri. Ha soprattutto vinto sulle macerie della corruzione del partito peronista al potere fino all’anno scorso di Nestor e Cristina Kirchner. S’ispira a due quasi-golpisti come Trump e Bolsonaro, dice delle cose irragionevoli come “lo Stato è inutile” o “aboliamo la banca centrale” ma allo stesso tempo dice delle cose di buon senso sul togliere i vincoli all’import e all’export e su privatizzare parte dell’economia argentina ancora largamente gestita dal settore pubblico.

Riuscirà nell’impresa di sconfiggere l’iperinflazione? Per ora no, se non altro perché, avendo svalutato del cinquanta percento la moneta e avendo tolto i limiti ai prezzi dei beni domestici, ha provocato l’immediato raddoppio dei prezzi nei supermercati (tutti i prezzi, beni domestici e importati). Quest’anno l’inflazione sarà del 200% se non di più in un paese di 46 milioni di abitanti con 20 milioni di attivi, 4 milioni di lavoratori pubblici e solo 6 nel settore privato. Tutto il resto è lavoro autonomo o nero. La riduzione del deficit (oggi al 4% con un debito dell’80%) non basterà a sconfiggere il fenomeno dell’iperinflazione che è dovuto alla perdita di fiducia nella moneta (il taglio di banconota più alto è 2000 pesos che corrispondono a 2 euro, i pagamenti cash sono già ingestibili). Però è vero che tutti hanno iniziato da lì e dall’indipendenza della Banca Centrale: in Sud America sono rimasti solo l’Argentina e il Venezuela con l’inflazione fuori controllo, tutti gli altri paesi sono a posto.

La dollarizzazione probabilmente non avverrà mai, non ci sono i dollari, e poi è utile mantenere la politica di cambio per un paese in difficoltà con l’inflazione: se ci fosse il cambio fisso e il dollaro si apprezzasse, sarebbe la fine per l’economia argentina, come successe nella precedente dollarizzazione finita nel caos del 2001. Ma una cosa buona Milei sicuramente l’ha fatta: ha spostato il paese sotto l’influenza degli Stati Uniti e fuori dal blocco dei Brics egemonizzato dalla Cina. In un mondo dove la geopolitica è tutto, questo potrebbe salvare gli argentini se dovesse esserci il disastro economico e sociale.

Gli USA non potranno non salvare un alleato prezioso che per di più ha scelto in libere elezioni democratiche di schierarsi con loro. Non è una cosa da poco in un continente, come l’America Latina, dove molti paesi dal Brasile al Perù, per non dire il Venezuela e praticamente tutti i paesi dell’America centrale, hanno molto recentemente dimostrato o dimostrano pericolose simpatie per regimi non democratici. In questo momento storico però, seppure “l’esperimento Milei” possa essere, per qualcuno interessante, per molti preoccupante, non si può non rilevare che molto dipenderà da cosa succederà in America nelle prossime elezioni presidenziali.

Milei difficilmente rappresenterà un modello per qualcuno fuori dall’Argentina, viste le peculiarità storiche, economiche e politiche del Paese. Se però dovesse vincere Donald Trump, che si è già schierato a fianco del nuovo Presidente argentino, gli attuali assetti geopolitici ne risentirebbero e il mondo avrà ben altri problemi che temere l’effetto imitazione di Milei.

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