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Quel che la sinistra italiana non capisce del Regno Unito

Vittorio Ferla mercoledì 18 Dicembre 2019
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di Vittorio Ferla

 

A giudicare dai commenti delle prime ore, pare che la sinistra italiana non abbia capito granché di quanto è successo nel Regno Unito. In parte è comprensibile: la cultura e il sistema politico britannici hanno peculiarità che noi italiani facciamo fatica a digerire. Vediamo perché.

 

La forza del maggioritario

1- Cominciamo dal sistema politico-istituzionale. Com’è noto, in Uk si vota con una legge maggioritaria con turno unico. Bisogna ringraziare questo sistema se il Regno Unito è uscito indenne da questi tre anni deliranti durante i quali sono falliti tutti i tentativi di Brexit.

Ricordiamo insieme: alle ultime elezioni per il Parlamento europeo il tradizionale sistema bipartito britannico sembrava definitivamente spappolato. Il Brexit Party aveva assorbito l’elettorato dei Tories. I Lib Dem avevano rubato parecchi voti ai laburisti. Ma quelle erano elezioni con sistema proporzionale e servivano solo per fotografare opinioni. Votando con il maggioritario è cambiato tutto. La dinamica politica si è nuovamente (bi)polarizzata e ha vinto la forza con l’obiettivo più chiaro (Get Brexit Done), il leader più popolare e deciso, il programma politico più pragmatico e inclusivo dei consensi del campo avverso. Il sistema maggioritario è rigido (winner takes all) per un motivo semplice: non si limita a fotografare la rappresentanza, ma chiede ai cittadini di scegliere un governo. Gente pratica, questi inglesi.

Il sistema maggioritario, infatti, è una (vera) gara. Vince chi arriva primo, anche se non ha una maggioranza assoluta numerica. Amen. Ancora oggi qualche commentatore ingenuo ci casca: “eh, ma se metti insieme Labour, Lib Dem e National Scottish Party hai più voti dei Tory. La Brexit non ci sarebbe stata. Avremmo un governo di centrosinistra”. No, non funziona così. Prima di tutto perché non c’è omogeneità tra queste forze politiche: sulla Brexit il Labour era diviso e indeciso (l’uscita dall’Europa non è mai stato un problema per Corbyn) e i Lib Dem non avrebbero digerito il manifesto statalista e collettivista dell’attuale Labour. I britannici, poi, non amano i pastrocchi: niente “Ulivi”, né “Unioni”, né “campi larghi”, né “gialloverdi”, né “giallorossi”. Solo “rossi” o “blu”, niente sommatorie di maggioranze sgangherate. Gente pratica, questi inglesi.

 

Prassi costituzionale e capacità di adattamento

2- Bisogna poi ricordare agli osservatori italiani le peculiarità della costituzione non scritta della Gran Bretagna. La sua mancanza di rigidità consente un’estrema libertà di adattamento al sistema costituzionale britannico, basato quasi interamente su pratiche consolidate piuttosto che su principi astratti. E così, per i britannici, partecipare all’Unione Europea o uscirne è stato relativamente facile. Da quando fa parte dell’Ue, tra tutti i paesi membri, il Regno Unito è quello che ha avuto il minor numero di richiami formali circa l’applicazione delle normative europee. Allo stesso tempo, non ha mai tollerato l’eccesso di burocrazia degli uffici comunitari e ha sempre temuto i rischi di dirigismo proveniente da un potenziale stato sovranazionale europeo.

Questo atteggiamento aiuta a comprendere due cose. La prima: la Brexit è prima di tutto il frutto di un indipendentismo di tipo culturale; non certo la protesta contro le élite neoliberiste che si annidano nelle istituzioni comunitarie come pensano i populisti di sinistra. La seconda: se il Regno Unito si emancipa dalle rigidità oppressive di un superstato sovranazionale, perché mai dovrebbe consegnarsi al dirigismo socialista di Corbyn in casa propria?

Ma c’è di più. L’elasticità della costituzione inglese potrebbe risultare funzionale anche per risolvere l’autonomismo scozzese, risorto con la vittoria del National Scottish Party. In altri paesi europei dotati di costituzioni rigide (si pensi al rapporto tra Spagna e Catalogna) questi processi scatenano prima tensioni politiche violente e poi traumatici interventi giudiziari. Nel Regno Unito potrebbero risolversi, invece, in modo consensuale e pragmatico. Anni fa toccò a Tony Blair garantire un’ampia devolution alla Scozia. Qualcosa del genere potrebbe accadere oggi? Potrebbe verificarsi l’unicum di un federalismo all’anglosassone nel quale la Scozia acquista uno statuto speciale: regione autonoma nel Regno Unito, soggetto membro nell’Unione Europea? Qualcosa del genere potrebbe accadere per la città di Londra? Un azzardo del tutto ingenuo? O una fantasia più che fondata? Ce lo dirà la storia. Intanto, però, ricordiamo che l’Inghilterra è il paese che, con la rivoluzione industriale, la forma di governo democratica, il libero commercio internazionale e il dominio dei mari, ha inventato la modernità nel Settecento. Ha enormi risorse adattive e con la Brexit ben fatta potrebbe riprendere a navigare nel nuovo oceano della globalizzazione.

 

Anche i conservatori fanno il welfare

3- Va sfatato, infine, il mito di una destra estremista e liberista. Boris Johnson non è certamente l’uomo più elegante del mondo. Tutt’altro. BoJo è eccentrico, volgare, politicamente scorretto, sboccato, bugiardo. Tuttavia, BoJo è colto, laureato in lettere classiche, conosce e ama il greco e il latino, ha scritto un saggio sulla storia di Roma, ha proposto di reintrodurre lo studio del latino nelle scuole “perché aiuta a ragionare”. Da sindaco, ha governato la Londra globalista, migliorando il trasporto pubblico, vietando l’uso di alcol in metropolitana, favorendo l’uso della bicicletta. Ma la cosa meno nota – o esplicitamente rimossa – in Italia è che il suo programma sociale ed economico è tutt’altro che estremista e liberista. Prevede, viceversa, più spesa pubblica, più protezione sociale e maggiori servizi pubblici: tra i suoi obiettivi ci sono il miglioramento dei trasporti pubblici (a partire dal sistema ferroviario), l’aumento delle prestazioni sanitarie per tutti, gli aiuti alle fasce più deboli e ai lavoratori. Nulla di strano che abbia fatto il pieno delle regioni del red wall, per tradizione di fede laburista. È il solito mix contemporaneo di populismo e protezionismo anche a destra? Sicuramente. Ma anche un impegno nei confronti di quelle categorie che di norma non votano per il partito conservatore. A Johnson tocca adesso ripagare questa fiducia. Inoltre, l’enorme maggioranza di cui dispone in Parlamento gli permetterà di realizzare una Brexit più soft. Non c’è più bisogno di fuggire. Meglio fare le cose con calma e per bene, senza strattoni eccessivi che potrebbero creare traumi all’economia e alla vita delle persone. Se questo disegno dovesse riuscire sarà difficile per la sinistra – anche italiana – urlare contro il fantasma tatcheriano del “neoliberismo selvaggio”. E se il Labour non imparerà la lezione i quattordici anni di opposizione potrebbero diventare diciannove.

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