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Tra radicalismo e doroteismo, i primi due mesi di Schlein

Vittorio Ferla giovedì 4 Maggio 2023
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di Vittorio Ferla

 

Dopo i primi due mesi di Elly Schlein alla guida del partito, il dato dei sondaggi – per quel pochissimo che vale – assicura che il Pd è lievemente risalito nei consensi attestandosi stabilmente intorno al 21%. Nulla di sbalorditivo, a dire il vero, visto che la soglia più bassa degli ultimi anni (18%) la raggiunse Matteo Renzi nell’ormai lontano 2018, praticamente in un’altra era politica, e che alle ultime elezioni il Pd a guida Letta ha sfiorato il 19%. Un paio di punti percentuali, peraltro, che arrivano da elettori provenienti dal M5s o da altri partitelli della sinistra più radicale: pertanto, aggiungono ben poco alle magnifiche sorti e progressive della sinistra che verrà. Anche perché – qui sta il punto – in questi primi due mesi di gestione la segreteria di Elly Schlein ha prodotto solo un mix velleitario fatto di radicalismo identitario e di vaghezza dorotea.

Sul primo versante, Schlein ha cavalcato le tipiche controversie che scolpiscono l’identità della sinistra radicale. L’immigrazione da affrontare nella logica dell’accoglienza a tutti i costi, a dispetto della protervia securitaria della governo delle destre xenofobe. La promozione dei diritti civili – dalla maternità surrogata alle norme contro la transomofobia al diritto di adozione da parte delle coppie gay – contro un’idea di famiglia patriarcale. La difesa della sanità contro la volontà presuntivamente discriminatoria del governo nei confronti dei cittadini più deboli. L’antifascismo come identità originaria della sinistra e, attraverso questa, della Repubblica italiana nonché feticcio ideologico per delegittimare sistematicamente l’avversario al potere. Al netto di quanto di buono può ritrovarsi in queste posizioni, appare evidente che usarle come clava politica nella polemica giornaliera può servire al massimo per tenere unite le proprie truppe (anzi nemmeno, vista la recente fuga del senatore Enrico Borghi), ma nulla aggiunge al fine di allargare il consenso né tantomeno aiuta a costruire una plausibile piattaforma di governo. In questa direzione possiamo solo registrare l’assoluta assenza del Pd dal dibattito su temi cruciali come l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, la riforma del fisco, le tutele reali delle partite iva, le politiche per la natalità, lo sviluppo del Sud, le grandi infrastrutture materiali e digitali del paese, e via elencando. Possibile che la prima donna alla guida del Pd non sia mai stata in grado di esporre l’urgenza di favorire l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro in un paese in cui il tasso di occupazione femminile si attesta al 51,3%, tra i peggiori d’Europa (la media Ue delle donne occupate è pari al 62,7%)? A ciò si aggiunga che il tasso di disoccupazione femminile resta cristallizzato al 9,1% contro il 6,8% degli uomini (divario che aumenta per la fascia d’età fra i 15 e i 24 anni). Peggio, il tasso di inattività delle donne tocca il 43,4% contro il 25,2% degli uomini. Una vera e propria emergenza nazionale, insomma: se fosse risolta, l’impatto sul decollo del Sud e sulla ripresa della crescita sarebbe formidabile. Proprio nel momento in cui la segretaria del Pd tace su argomenti così rilevanti, arriva così la proposta di Giancarlo Giorgetti, ministro dell’economia, di ridurre il numero di tasse da pagare alle famiglie per incentivare la natalità: proposta che può piacere o meno, che si può considerare di destra o di sinistra, ma che in ogni caso certifica l’esistenza in vita del centrodestra a dispetto dell’afasia dei dem. Sembra, in sostanza, che su tutti i dossier privi di immediate ricadute ideologiche e segnati dalla necessità di trovare soluzioni pratiche il Pd preferisca astenersi o cerchi addirittura di svicolare. Per non parlare, poi, del posizionamento strategico del paese su questioni cruciali di geopolitica (dalla crisi ucraina a quella di Taiwan) o di geoeconomia (dalle politiche dell’energia alle alleanze commerciali transcontinentali).

Di fronte alle grandi sfide – sia quelle globali sia quelle domestiche – la ricetta economica che emerge dalle recenti dichiarazioni di Schlein appare di una banalità sconcertante. La retorica contro il precariato e lo sfruttamento. La tassa contro le multinazionali. L’energia pulita e rinnovabile da realizzare sul tetto di casa. La riduzione della plastica unita alla raccolta differenziata. Il trasporto pubblico locale gratuito per i giovani e la promozione del cicloturismo. Tutto bellissimo, ma un po’ pochino per un partito che dovrebbe guidare alla vittoria il centrosinistra al prossimo turno elettorale. D’altra parte, la leadership di riferimento della segreteria del Pd è quella di Alexandria Ocasio-Cortez, Ayanna Pressley, Ilhan Omar e Rashida Tlaib, la squad radicale che ha ottenuto un grande successo personale nelle cittadelle liberal delle metropoli americane cavalcando tigri ideologiche ma che per governare gli Usa ha dovuto alla fine sostenere il vecchio Joe Biden, campione del pragmatismo democratico più illuminato. La sensazione è che su temi divisivi di politica anche spicciola, quelli che richiedono una abbondante dose di pragmatismo e temperanza, la Schlein preferisca per adesso non assumere impegni precisi. Questo doroteismo di sinistra sembra oggi la strategia più comoda per tenere unito il partito evitando di esacerbare le divisioni sotterranee (ma potrebbe non bastare). In attesa di tempi migliori, nel frattempo, si innaffia la pianta dell’ideologia con i radicalismi di principio. Ma fino a quando potrà durare questa ‘pax schleiniana’? La segretaria dem ripete in ogni dove il suo impegno ad “entrare in connessione con le persone che vogliamo rappresentare” e che bisogna “farlo con un linguaggio inclusivo, che si rivolga a tutti e a tutte”. Ma c’è qualcosa che non funziona in questo ardore. Basta vedere le persone chiamate da Schlein a coordinare il partito e a curarne l’organizzazione: esponenti della sinistra estrema, che non conoscono il Pd e molto probabilmente non lo hanno mai amato. E che oggi lo digeriscono sol perché sembra un bel pacco regalo per la sinistra gruppettara. Ma sui pacchi c’è scritto ‘maneggiare con cura’. E prima o poi la realtà torna a bussare alla porta.

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