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Transfughi, espulsi, prestati. I “costruttori” nemesi del M5S

Salvatore Curreri venerdì 29 Gennaio 2021
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di Salvatore Curreri

E dunque, alla fine, i “costruttori” hanno trovato (almeno al Senato) una casa comune, costituendo il gruppo parlamentare Europeisti – MAIE – Centro democratico. Per capire di cosa si tratti basta specificarne i componenti e le rispettive provenienze: cinque (i sen. Buccarella, Cario, De Bonis, Fantetti e Merlo) dalla componente politica del gruppo misto Movimento Associativo Italiani all’Estero (MAIE), contestualmente scioltasi; due (i sen. Causin e Rossi) dal gruppo di Forza Italia; il sen. Marilotti dal gruppo Per le Autonomie, il sen. De Falco dalla componente politica del gruppo misto Azione (in cui è rimasto appena sette giorni), infine la sen. Rojc per sua stessa ammissione prestata dal gruppo del Partito democratico per raggiungere il minimo richiesto di almeno dieci senatori.

Ma per costituire un gruppo parlamentare, oltre tale requisito numerico, il regolamento del Senato richiede da questa legislatura anche un requisito politico, e cioè la sua corrispondenza con un partito presentatosi alle elezioni politiche, ottenendovi eletti. Lo scopo è evidente: evitare la proliferazione di gruppi frutto di accordi post-elettorali tra parlamentari che avevano abbandonato i partiti per cui si erano candidati ed erano stati eletti. Partiti parlamentari, privi di legittimazione elettorale, perché espressione di eletti ancor prima che di elettori. Scopo su cui tutte le principali forze politiche concordarono, e principalmente il M5S che com’è noto ha sempre combattuto per l’introduzione del vincolo di mandato proprio per evitare il trasformismo parlamentare.

La formazione di tale nuovo gruppo costituisce quindi la nemesi storica di quelle battaglie ideali, ora sacrificate sull’altare della ragione politica. Essa è stata possibile, infatti, perché, dopo il precedente del gruppo Italia Viva-PSI, si è ritenuto che basti appena un senatore eletto con un simbolo elettorale perché il gruppo corrisponda ad una forza politica presentatasi alle elezioni (nel nostro caso decisiva è stata l’adesione del sen. Merlo eletto nella circoscrizione Estero America meridionale con il simbolo MAIE- Movimento Associativo Italiani all’Estero).

Quando Renzi, dunque, ritiene scandalosa la creazione di tali “gruppi improvvisati” dimentica che, sotto il profilo regolamentare, tale lo è anche il suo gruppo al Senato giacché Italia Viva è nata dopo le elezioni politiche del 2018 per scissione del Partito democratico.

Se vi state chiedendo tutto questo con la lettera e, ancor prima, con la ratio di quella riforma regolamentare, la risposta è semplice: niente, non c’entra proprio niente. Anzi, costituisce un ulteriore peggiore precedente. Perché si tratta di un gruppo formato non per ampliare la maggioranza (almeno al momento) ma per dare visibilità politica ai suoi componenti (infatti ieri consultati dal Presidente della Repubblica), per acquisire risorse finanziarie e strutturali (come ha dichiarato lo scorso 18 dicembre in questo giornale Sposetti, senza i finanziamenti giustamente destinati ai gruppi parlamentari Italia Viva sarebbe già da tempo Italia morta…) e, non da ultimo, godere dei poteri procedurali connessi a tale qualifica, a partire dalla loro presenza nelle Commissioni parlamentari permanenti. Anzi, sotto questo profilo, si può ben dire che se un tempo le Commissioni si formavano sulla base dei gruppi parlamentari (i quali non a caso ad inizio legislatura si costituiscono prima di quelle), ora invece sono i gruppi parlamentari che si formano al preminente scopo di essere presenti nelle Commissioni permanenti, così da permettere alla maggioranza di governo di rimanervi tale.

Tutto ciò non può essere derubricato a mera contingenza politica ma costituisce l’ennesima riprova di un Parlamento incapace di rispettare le regole che si è dato. Causa non ultima della profonda crisi istituzionale in cui da tempo versa. Ne volete ulteriore riprova? Tutti ormai se lo sono dimenticati (o fanno finta), ma è dal 15 ottobre che la Camera deve votare in seconda lettura sulla riforma costituzionale che riduce l’elettorato attivo al Senato da 25 a 18 anni, nonostante sia previsto che il rinvio, chiesto allora da Italia Viva e deciso inappellabilmente dal Presidente, possa essere solo “a breve termine” (art. 99.2 reg. Camera). Tutto, dunque, può essere piegato alle esigenze politiche del momento, anche il tempo.

E che dire dell’abbinata maxiemendamenti-questione di fiducia, che rende irrilevante e inutile la discussione parlamentare? Dei decreti legge minotauro che inglobano al loro interno la conversione di altri decreti legge, pratica già censurata dalla Corte costituzionale (sentenza n. 58/2018)? Del monocameralismo alternato di fatto per cui ormai ciascuna camera si limita ad approvare quanto esaminato dall’altra, anche quando si tratti (ed è il terzo anno che accade, con buona pace dei caveat della Corte costituzionale) della fondamentale legge di bilancio? Di un costume parlamentare corrotto per cui, nell’indifferenza generale, molti deputati e senatori tutto fanno in Aula tranne che ascoltarsi?

Verrà mai il giorno in cui i Presidenti delle Camere, stupendo tutti (a cominciare dai loro collaboratori), si alzeranno in piedi (non solo metaforicamente) e troveranno finalmente il coraggio di dare basta a tutto questo, in nome del rispetto della dignità del Parlamento e, ancora prima, della Costituzione?

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