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Verso il ballottaggio, sette lezioni dalla Francia

Lorenzo Gaiani lunedì 11 Aprile 2022
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di Lorenzo Gaiani

1. Alla fine non c’è stato alcun testa a testa. Macron è arrivato primo, ha migliorato, almeno in termini percentuali, il suo score rispetto a cinque anni fa, e ha distaccato nettamente Marine Le Pen, che è certo cresciuta ma meno di quanto ci si aspettava, e anzi ha visto ridurre il distacco alle sue spalle sull’ultrasinistro Jean Luc Melenchon.

2. L’appoggio a Macron della quasi totalità dei candidati sconfitti, con l’eccezione del pessimo Zemmour (altro pallone gonfiato dai media: d’altro canto viene da quel mondo), sia pure talvolta nella formula “non fate vincere Le Pen”, dei sindacati e di molte realtà associative testimonia il mantenersi di quello che i francesi chiamano “spirito repubblicano”, sperando che anche gli elettori nella loro maggioranza lo recepiscano.

3. In realtà una specie di testa a testa c’è stato fino a quando non sono arrivati i voti delle grandi città (Parigi, Marsiglia, Lione…): c’è una Francia periferica e per certi versi marginale che si identifica in Le Pen, mentre l’ambiente urbano rigetta il messaggio dell’estrema destra. Noi in Italia ne sappiamo qualcosa, di questa dinamica.

4. Ciò significa che esiste almeno un 43% di elettorato che è disponibile a dar credito a due messaggi estremi , per quanto diversi , come quelli di Le Pen e Melenchon , di fronte ad una situazione sociale ed economica che lo penalizza e che la pandemia ha esasperato. Probabilmente ciò non basterà a Le Pen per vincere – la pregiudiziale antifascista grazie al cielo è ancora molto forte- ma deve far riflettere in prospettiva.

5. Anche perché in ultima analisi il messaggio del RN è sempre lo stesso, per quanto la facciata sia stata ripulita: intolleranza, discriminazione etnica e religiosa, rifiuto dell’Europa se non nella sua versione mercantile, sostanziale filoputinismo (anche il RN, come la Lega ed altri, ha preso l’oro di Mosca, sottoscrivendo le relative cambiali politiche). La France Insoumise di Melenchon , per molti versi, echeggia gli stessi motivi declinandoli in una versione più di sinistra , non sovrapponibile comunque a quella tradizionale del partito socialista o di quello comunista.

6. I due grandi partiti che hanno segnato la storia della Quinta Repubblica , gollisti e socialisti, sono sostanzialmente spariti, gran parte del loro elettorato si è accasata con Macron, ma molti altri hanno scelto il RN o la France Insoumise. In particolare il PS , che pure ancora controlla importanti città , regioni e dipartimenti, paga l’eterna lotta fra i capicorrente e , più profondamente, l’incapacità di scegliere fra un radicalismo puramente verbale ed un riformismo spesso non dichiarato né teorizzato e per questo debole.

7. Se, come indicano tutti i sondaggi, Macron vincerà la democrazia francese sarà in sicurezza per cinque anni. Ma dopo il secondo mandato il Presidente non potrà cercarne un prezzo, e a quel punto occorrerà vedere che cosa si lascerà dietro, se, cioè, il suo partito La Republique en Marche è qualcosa di più di un semplice comitato elettorale personale, destinato a sbandarsi quando Macron non potrà più essere candidato, ovvero sceglierà di strutturarsi come partito vero e proprio, tenendo conto che fino ad oggi a livello di elezioni locali ha sempre avuto risultati mediocri. Anche perché il RN e la France Insoumise fra cinque anni saranno ancora lì.

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