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Arginare il debito: la sfida dei riformisti per la rinascita

Alfonso Pascale domenica 3 Gennaio 2021
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di Alfonso Pascale

 

Per arginare il debito c’è una strada populista e un’altra riformista. Ed è adesso che bisogna scegliere.

La Commissione Ue ha fatto sapere, nelle ultime settimane, che nel piano italiano per la ripresa ci dovranno essere investimenti per progetti tecnologici e infrastrutture evitando incentivi a pioggia e altre forme d’intervento di tipo assistenzialistico. E ha chiarito che dal 2022, gradualmente, le regole di bilancio europee dovranno tornare in vigore e, di conseguenza, l’Italia deve prepararsi ad un nuovo ciclo di risanamento dei conti.

Dinanzi a noi si prospetta, dunque, un bivio. E occorre scegliere adesso quale strada imboccare. La prima è quella indicata dal ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, che vorrebbe restringere la spesa relativa ai prestiti europei da dedicare a nuovi progetti e così limitare il deficit e il debito in più che si produrrebbero nei prossimi anni. L’altra è quella delineata dal leader di Italia Viva, Matteo Renzi: i progetti preesistenti, come l’Alta velocità al Sud, andrebbero sostenuti coi fondi raccolti a debito sui mercati, così come si era deciso di fare prima del Recovery fund, per riservare tutti i fondi di Bruxelles a investimenti supplementari, con l’obiettivo di aumentare al massimo la portata totale degli investimenti pubblici.

I prestiti europei nella dotazione italiana del Recovery fund ammontano a 127 miliardi su un totale di 208,6. I restanti 82 miliardi potranno essere utilizzati sotto forma di trasferimenti di bilancio. Come utilizzare i 127 miliardi? Gualtieri vorrebbe porre un argine al debito, impegnando solo 40 miliardi in nuovi progetti e spendendo gli altri 87 miliardi in progetti già in essere. Renzi vorrebbe usare tutti i 127 miliardi per progetti nuovi.

La prima strada comporta l’aggiunta del solo 7,8% di debito dello Stato in proporzione al Prodotto lordo (Pil) di quest’anno. La seconda potrebbe far salire il rapporto fra debito e Pil di un ulteriore 5,3% in più e lasciare il debito ancora al 155% del Pil alla fine del periodo di utilizzo del Recovery plan nel 2022. L’Italia ha un debito del 160% del Pil, un deficit di oltre il 10%, un reddito per abitante tornato ai livelli di ventiquattro anni fa e le restano quindici mesi per diventare credibile agli occhi dei creditori internazionali.

Se si imbocca la prima strada, si dà solo l’impressione di voler tenere i conti in ordine. Senza un programma molto ampio di investimenti non ci sarà, infatti, alcuna crescita. E senza crescita anche i conti salteranno.

Se, viceversa, si imbocca la strada dell’utilizzo pieno dei prestiti europei in nuovi progetti, sarà possibile creare le condizioni per la crescita e, dunque, per la rinascita.

La prima strada permette all’Italia di non toccare nulla nella prossima Legge di Bilancio, rassicurando così corporazioni e privilegiati, ma porterà inevitabilmente il Paese verso il fallimento.

L’altra strada apre la prospettiva della vera rinascita. Ma, nello stesso tempo, impone, già dalla prossima Legge di Bilancio, una stretta sulle voci di spesa assistenzialistica e sui privilegi corporativi e parassitari per compensare l’inevitabile aumento di deficit. Se non lo faremo noi, individuando per tempo le aree di spesa pubblica da contenere, sarà la Commissione Ue ad imporcelo.

Questo è lo scenario politico che è dinanzi a noi. L’intrico drammatico che bisogna dipanare.

La prima strada è quella preferita dai populisti perché, almeno per qualche anno, permette di non fare riforme e mantenere lo status quo.

L’altra è la strada che le forze riformiste con nettezza e coraggio dovrebbero indicare, dicendo al Paese in spirito di verità le rinunce da compiere e le opportunità da cogliere.

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