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Il Pd delle origini rischia di perdersi

Alberto Colombelli mercoledì 16 Ottobre 2019
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di Alberto Colombelli

 

Leggo l’intervista de la Repubblica a Maurizio Martina del 15 ottobre 2019 sulle nuove regole presentate in Direzione in modifica allo Statuto del Partito Democratico a dodici anni dalla sua nascita, e con spirito costruttivo esprimo un parere a caldo, personale, senza veli, come si conviene ad un confronto aperto che lì viene indicato tra gli obiettivi perseguiti.

 

Il nuovo Statuto

Leggo che “la nostra ambizione è quella di vincere una nuova sfida di partecipazione e radicamento. Quello che stiamo cercando di fare con il nuovo Statuto è disegnare gli strumenti di un nuovo Pd come grande partito di persone, alternativo ai partiti personali. Una riforma radicale. Bisogna cambiare la politica costruendo una nuova prossimità territoriale, sociale, digitale. E quindi, circoli online, punti-Pd sui luoghi di lavoro, di studio, una nostra piattaforma deliberativa online.”

Penso che questo sì potrà realizzarsi anche ricorrendo a nuovi strumenti e nuove tecnologie ma realmente si potrà concretizzare solo se si rinuncerà alla volontà di esercitare la propria egemonia da parte di certe oligarchie.

 

Vocazione maggioritaria e primarie aperte

Leggo che viene ribadita la vocazione maggioritaria del Pd e allo stesso tempo che “la legge elettorale sarà un passaggio decisivo anche per capire quale nuova forma dare al partito. La vocazione originaria del Pd resta, nel senso che rimane la scommessa di parlare a tutta  società italiana, a prescindere dal modello elettorale adottato”. Leggo anche che dodici anni dopo, il Pd cambia uno dei suoi cardini e così il segretario non sarà più automaticamente il candidato premier, indicando che “non è tempo di automatismi, perché noi Dem dobbiamo liberare e aprire la nostra iniziativa politica. È buonsenso superare l’automatismo. Sì, nel partito ci sono opinioni diverse in proposito, ma l’obiettivo comune, che ci unisce, è quello del rilancio e dell’innovazione.”

Penso che ho sempre considerato il Pd una grande forma di innovazione politica per due motivi. Primo le primarie aperte a iscritti e ad elettori, che ne consentono la contendibilità dal basso. Secondo per la sua vocazione maggioritaria intesa come l’ambizione di presentarsi con una propria idea di Paese attorno alla quale allargare il consenso già prima delle elezioni garantendo così massima trasparenza e responsabilità verso gli elettori, attraverso un programma di governo e un candidato premier preventivamente condivisi. Scollegare questa da legge elettorale e coincidenza tra leader di partito e candidato premier significa perlomeno attribuire un senso diverso alla vocazione maggioritaria.

Leggo che “sono confermate le primarie aperte agli elettori per la scelta del segretario nazionale”.

Penso che lì perché il Partito democratico resti contendibile dipenderà più che dalla conferma di questo strumento dalle regole di registrazione che verranno adottate.

Riformisti democratici, ora mi rivolgo direttamente a voi, penso che ci sia un senso d’urgenza perché passo dopo passo così facendo del Pd delle origini rischia progressivamente di rimanere soltanto il nome o poco più. In tal caso potrà continuare a chiamarsi Partito Democratico ma sarà un’altra cosa.

 

L’alleanza con il M5s

Chiudo solo con una nota a margine poi sul tema dell’alleanza strutturale che già si sta considerando possa nascere dall’attuale compagine di governo, della quale anche si parla nell’intervista. Su quella non vi lascio un mio pensiero ma queste parole.

«Questa e’ una fase di assoluta e inedita emergenza, dovuta all’intreccio tra una devastante crisi istituzionale e una devastante crisi sociale. L’assenza di alternative ha generato il governo in carica, al quale auguro successo; ma si tratta di una condizione di anomalia, non di una condizione virtuosa». […] «La cosa peggiore è trasformare questa alleanza di emergenza in una formula politica. Il governo deve fare due cose: rimettere in moto l’economia e cambiare le regole del sistema a partire dalla legge elettorale. Non è una formula politica, ma un intervento di emergenza su un corpo malato. Se diventa un’altra cosa, cambia natura. E sarebbe un cambiamento non virtuoso».

Oggi? No.

Walter Veltroni, Corriere della Sera, 4 Maggio 2013, dall’intervista di Aldo Cazzullo (ndr in carica c’era il governo Letta).

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