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La seconda lezione cilena

Lorenzo Gaiani lunedì 5 Settembre 2022
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di Lorenzo Gaiani

Oltre il 60 % degli elettori cileni ha dunque respinto il progetto di Costituzione elaborato in un anno dalla Costituente eletta nel maggio 2021, che a sua volta faceva seguito ad un referendum con il quale, a seguito degli accordi fra il Presidente conservatore Sebastian Pinera e l’opposizione, si era deciso di avviare un percorso costituente per placare l’ira popolare che si era manifestata massicciamente a partire dall’autunno del 2019 contro il carovita e le crescenti disuguaglianze sociali.

Uno degli obiettivi delle proteste era appunto la Costituzione vigente, che era ancora quella imposta dal 1980 dal generale Augusto Pinochet, più volte emendata per toglierne gli elementi più palesemente antidemocratici, come quello che riservava alle Forze armate una sorta di “patronato” sulle istituzioni elettive, ma che rimaneva priva di una sostanziale legittimità in quanto espressione di un potere dittatoriale, accettata controvoglia dalle forze democratiche come condizione per porre fine alla dittatura inaugurata con il golpe delll’11 settembre 1973.

Peraltro, la vigenza della Costituzione del 1980 non ha impedito lo scorso anno l’elezione di Gabriel Boric, il Presidente più a sinistra che il Cile abbia avuto dai tempi di Salvador Allende.

Come ha ben rilevato Ludovico Manzoni sull’Huffington Post, la Costituente eletta annoverava un gran numero di indipendenti, a causa della sfiducia nei partiti politici, ed il complesso dibattito ha scontato la difficoltà di comporre le diverse istanze (indigeniste, ambientaliste, femministe…) presenti nell’assemblea, producendo alla fine un testo di 388 articoli (più del doppio della nostra Costituzione, per intenderci) in cui molte delle suddette istanze sono state recepite, affiancando al riconoscimento di sacrosanti diritti sociali questioni più controverse come la possibilità alle popolazioni indigene di poter avere un loro sistema giudiziario parallelo a quello statuale.

Il fatto è, come ammoniva Giuseppe Capograssi, il più grande filosofo del diritto italiano del XX secolo, che una Costituzione non deve essere “la raccolta dei più grandi luoghi comuni del nostro tempo”, e la pretesa dei molti militanti di varie cause presenti nella Costituente di inserire nel testo della nuova Carta fondamentale le loro istanze così com’erano ha creato un insieme poco armonico, pletorico (388 articoli !) , inutilmente minuzioso . Soprattutto dominato dalla pretesa – così diffusa nella sinistra attuale, non solo sudamericana- di credere che il bene comune consista nella raccolta e nell’esaltazione di ogni singola istanza avanzata da gruppi di militanti che, tanto per esser chiari, non necessariamente per il fatto di fare più chiasso ed essere più organizzati sono l’espressione reale dei sentimenti delle categorie che pretendono di rappresentare.

Qui si vede con chiarezza la mancanza del ruolo dei partiti politici, che è appunto quello di mediare le istanze sociali più disparate in un progetto che sia accettabile per una significativa maggioranza dell’opinione pubblica, che mediamente percepisce di non esaurire la propria soggettività in uno soltanto degli aspetti che fanno parte della sua vita, e diffida degli estremismi e degli unilateralismi.

Del resto, la nostra Costituzione, giustamente additata come una delle più avanzate fra quelle postbelliche, non è stata scritta da un gruppi di militanti e di professore che si sono radunati per caso, ma da esponenti di partiti politici che avevano raccolto il consenso popolare e che in ragione di ciò avevano il potere di cercare mediazioni di alto livello (e magari anche meno alto, in alcuni casi) essendo consapevoli del loro ruolo storico.

Ecco, forse la seconda lezione cilena , dopo quella del 1973 che tanto preoccupò Enrico Berlinguer e che lo spinse all’elaborazione della politica del “compromesso storico” è proprio questa: un appello ai partiti politici affinché non dismettano certo il rapporto con la società civile, anche nelle sue punte più avanzate, ma non dimentichino mai la loro altissima responsabilità di collettori ed organizzatori del consenso e di costruttori delle mediazioni possibili in vista del bene comune e della convivenza democratica.

Al fondo, a giudicare dalle prime notizie che giungono da Santiago, a voler lavorare in tal senso è lo stesso Presidente Boric (che si è molto speso a favore del progetto di Costituzione, e quindi è fra gli sconfitti del voto di ieri) che ha detto di voler riunire prima possibile tutte le forze politiche per decidere il da farsi dopo che il popolo sovrano ha così chiaramente parlato.

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