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Le riforme dimezzate: dove è stato l’errore?

Tortuga martedì 5 Febbraio 2019
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di Tortuga

 

Nel corso della passata legislatura l’Italia ha riguadagnato credibilità internazionale, attratto finanziamenti esteri, recuperato l’occupazione persa con la crisi, ridotto la disoccupazione, aumentato (leggermente) i salari. Eppure, nonostante tutto ciò, la classe politica al governo in quegli anni è stata sonoramente sconfitta nel corso delle ultime elezioni politiche. E anche oggi, mesi dopo, non sembra essere in grado di risollevarsi. Un libro, scritto da chi quegli anni li ha vissuti in prima persona da una posizione privilegiata, tenta di rispondere a questo e ad altri interrogativi essenziali per comprendere gli errori e le opportunità che hanno portato il paese ad abbracciare il populismo al governo.

Marco Leonardi, professore di economia presso l’università Statale di Milano, è stato consigliere economico prima del governo Renzi e poi del governo Gentiloni. Ha frequentato gli ambienti di Palazzo Chigi per quattro anni, curando in prima persona la genesi e l’implementazione di riforme come il Jobs Act, il Reddito di Inclusione (Rei) e l’anticipo pensionistico (Ape). Da quest’esperienza ha tratto Le riforme dimezzate, un saggio breve ma denso di contenuti, edito dall’Università Bocconi. Il libro si struttura in quattro capitoli, uno per ognuna delle principali aree su cui l’autore ha lavorato: il mercato del lavoro e il Jobs Act, la questione salariale, le pensioni e il contrasto alla povertà. L’autore non si limita a delinearne i tratti principali, ma ne spiega l’importanza i motivi per cui fare marcia indietro su queste riforme sarebbe una scelta costosa e iniqua.

I decreti attuativi del Jobs Act sono stati il primo prodotto della squadra di economisti (di cui Leonardi faceva parte insieme a Filippo Taddei, Tommaso Nannicini, Maurizio del Conte e altri) che hanno supportato dal punto di vista tecnico i governi della scorsa legislatura. Lo scopo era favorire la riqualificazione dei lavoratori e aiutare la mobilità tra i settori produttivi, per rispondere all’inadeguatezza delle tutele dal mercato del lavoro – a sua volta causata da fattori come le incertezze legate alla crisi, il sempre più rapido cambiamento tecnologico, la competizione internazionale che ha generato necessità di adattarsi rapidamente alle fluttuazioni del mercato. Si è trattato di provvedimenti importanti perché rendevano per la prima volta il lavoro a tempo indeterminato conveniente per gli imprenditori, rispetto al precariato, con una decontribuzione triennale per le nuove assunzioni di lungo periodo e l’abolizione dell’articolo 18. Un’altra caratteristica rilevante del Jobs Act è stata la maggior flessibilità, che tuttavia – a leggere i dati Istat sull’occupazione – pare non aver reso il contratto a tempo indeterminato la normalità per quella fascia di outsider, giovani precari, che invece si intendeva tutelare. Il focus è passato infatti dalla protezione del posto di lavoro a quella del lavoratore, eliminando la cassa integrazione straordinaria e potenziando il sussidio di disoccupazione nel 2015.

Il secondo capitolo de Le riforme dimezzate affronta gli sforzi fatti per aumentare i salari degli italiani, stagnanti dal 1995 – assieme alla produttività del sistema Paese. I voucher sono probabilmente il pezzo più importante del puzzle delle riforme a sostegno delle retribuzioni: miravano a ridurre il lavoro nero, garantendo così assistenza sociale a chi lavorava nel sommerso. Tuttavia, si aprì presto un fronte molto critico nei sindacati e alcune forze di opposizione, per cui il governo Gentiloni abolì i voucher cartacei e li re-introdusse in formato elettronico. Ciò ha ridotto la platea che li utilizza al 3% degli 1.400.000 utenti originari, ma ha frenato il lavoro nero rispetto al vecchio sistema. I voucher elettronici andrebbero quindi potenziati e pubblicizzati meglio. Una seconda, importante, riforma in merito è stata la detassazione dei premi di produttività. Ne ha goduto il 40% dei dipendenti nel settore privato, con €1300 all’anno ciascuno in media. Questi lavoratori si sono quindi trovati una mensilità in più in busta paga.

Nel terzo capitolo Leonardi si sofferma a riflettere sulle novità introdotte in materia pensionistica. Si tratta dell’Ape sociale (per disoccupati, invalidi e chi lavora in settori usuranti) e dell’Ape volontario (per chi desiderasse uscire anticipatamente dal mondo del lavoro per ragioni personali). Questi due strumenti hanno protetto i lavoratori e introdotto maggior flessibilità nelle scelte previdenziali, ma hanno anche avuto una lunga gestazione e ricevuto una scarsa adesione, limitandone così i potenziali benefici.

Nel quarto capitolo l’autore affronta il tema della povertà, cominciando dal ripercorre tutti gli strumenti – piuttosto variegati – usati a partire dagli anni ’90 per tentare di arginare la povertà. Il provvedimento su cui Leonardi ha lavorato in questo caso è il Reddito di Inclusione, disegnato dal governo Renzi e varato dal governo Gentiloni nel 2017. L’autore difende questo strumento e suggerisce di estenderlo a una platea più ampia, piuttosto che sostituirlo con il reddito di cittadinanza come invece è stato deciso dal governo in carica.

Infine, nelle conclusioni, Leonardi traccia un breve quadro dei rapporti istituzionali tra Unione Europea e Italia. Secondo l’ex sottosegretario ci sarebbe bisogno di “un programma di spesa pubblica esclusivamente diretta ad aumentare il potenziale di crescita, finanziato da più debito pubblico finanziato da garanzia europea ma anche controllata dalle istituzioni europee stesse”. Si tratta di una proposta ambiziosa ma quantomeno discutibile, perché trasferirebbe, in un momento in cui i nazionalismi si rafforzano, ulteriore sovranità a Bruxelles. Si creerebbero anche inevitabili tensioni nell’elettorato, che vedrebbe questa mossa come la vittoria della tecnocrazia. Sebbene Leonardi sia un tecnico – e veda quindi in questa soluzione un guadagno in termini di efficienza e crescita, in un paese che stenta a ripartire – rimangono numerose questioni politiche da redimere nella sua proposta.

È bene però fermarsi a riflettere anche sugli errori che sono stati commessi in passato. Leonardi mette sotto la lente d’ingrandimento la comunicazione, di fatto spostando la responsabilità del fallimento delle riforme ai politici, responsabili di ottenere consenso. Anche le priorità della task force di cui l’autore faceva parte probabilmente ha avuto i suoi limiti. Complice la miopia del Partito Democratico, non si sono indirizzati gli sforzi verso ciò che l’elettorato più desiderava, come una risposta all’immigrazione e maggior supporto al Sud. Per esempio, se il Rei fosse stato implementato prima – e con più fondi – il reddito di cittadinanza avrebbe forse suscitato un richiamo meno forte. Tali sono le sfide di una policy unit come quella in cui ha lavorato l’autore: lavorare a metà tra un’anima tecnica e un’anima politica, dovendo elaborare politiche innovative ma allo stesso tempo politicamente sostenibili.

Perché, dunque, leggere Le riforme dimezzate? Non solo perché è scritto in un linguaggio tecnico ma accessibile a tutti, ma anche perché nella tensione “riformismo versus gattopardismo” si gioca la partita della crescita. Le sfide per il paese sono chiare, e il governo Conte deve saper rispondere adeguatamente.

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